"I primi di queste terre avevano considerazione per la figura del caracol (chiocciola), che
rappresentava l'entrata verso il cuore, la conoscenza e anche l'uscita dal cuore per andare nel
mondo. Con il caracol si richiamava la collettività affinchè la parola scorresse
dall'uno all'altro e nascesse accordo, il caracol era d'aiuto affinchè l'orecchio udisse
anche la parola lontana."
(Subcomandante Marcos, 4 agosto 2003)
A San Cristobal de las Casas, città che ricorda gli antichi fasti dei conquistadores,
con le sue casette dai mille colori e con l'aria frizzantina dei suoi 2100 m/slm, ho un caro
amico, Jorge, responsabile di una ONG messicana, Desmi, che si occupa dello sviluppo economico
e sociale dei messicani indigeni. Grazie a lui ho potuto condividere la vita, i problemi,
i sogni, le speranze di alcune comunità indigene de los Altos del Chiapas, la zona
montuosa a nord di San Cristobal e ho potuto partecipare come osservatrice internazionale al
"Foro sobre l'autonomia" tenutosi a San Cristobal subito dopo l'inaugurazione dei "caracoles"
zapatisti.
Arrivo a San Cristobal il 10 agosto, domenica, le prime persone che incontro sono Michele e
Corrado, amici di Fidenza e Chiara, amica di Bassano e studentessa in Chiapas. Il mondo è
davvero piccolo! La mattina dopo alla sede di Desmi, dopo baci, abbracci e chiacchiere, da parte
mia in una lingua non propriamente castigliano aulico, ho finalmente il mio programma di visite
per i miei giorni chiapanechi. Martedì, di buon mattino, parto con mio marito Italo e mio
figlio Marco, per alcuni giorni di incontri, visite ed esperienze indimenticabili, alla volta di
Cantioc e El Calvario, piccole comunità vicino a Palenque.
Dopo ore di jeep, scossoni per i "topes" e l'immancabile pioggia, che rende il paesaggio ancora
più rigoglioso e traboccante di energia vitale, arrivo a Cantioc, dove ci aspettano le
donne della cooperativa "Luz de la esperanza", che gestiscono un forno per la produzione del
pane. Stanno cuocendo i panini (si mangiano a colazione, per il resto della giornata tortillas),
col loro profumo e la loro bontà mi riportano a tempi antichi. In una piccola capanna
dalle pareti di legno, il tetto in lamiera e il pavimento in terra battuta, mi raccontano la
storia della cooperativa, le loro difficoltà per vendere il pane alle comunità
vicine, la soddisfazione del loro lavorare insieme: mentre impastano o cuociono parlano dei loro
problemi, si confrontano, si danno forza l'un l'altra ... l'importanza della cooperativa ha
anche questa valenza, di riapproppriazione dei loro diritti fondamentali. Alla fine
dell'incontro regalo alle amiche di "Luz de la esperanza" la bandiera della pace, come promessa
di continuare a "caminar juntas" sui colori del'arcobaleno, che è ponte tra culture e
mondi diversi, ma complementari.
Dopo un'altra ora di jeep, tutta in salita, arrivo a El Calvario, una comunità sul
cucuzzolo di una collina; sono simpatizzanti zapatisti e devono fare i conti con la comunità
vicina costituita da priisti filogovernativi e paramilitari di paz y justicia.
A El calvario, Belisario, presidente della cooperativa Chiapuixol, di coltivatori di
caffè, mi accoglie con grande affetto e, per prima cosa, mi mostra una casetta in
costruzione, che diventerà il luogo di riunione di tutta la cooperativa. Il lavoro
procede lentamente, perchè ogni membro di Chiapuixol presta la sua opera gratuitamente
alla fine del lavoro nei campi. Questo luogo che diventerà punto di incontro, di scambi
di idee, di esperienze è nato dall'esigenza della comunità e dalla raccolta fondi,
che Michele, Corrado, Igor e tanti altri amici di Fidenza hanno fatto in memoria di Alessandro.
In questo modo Alejandro, come lo chiamano qui, rivivrà nelle speranze, nelle lotte,
nelle fatiche di questi suoi coetanei indigeni.
La comunità è poverissima e
questa povertà mi colpisce, perché è frutto dello sfruttamento, della
discriminazione, della violenza quotidiana che queste donne e questi uomini indigeni sono
costretti a vivere. Il modello di vita presente in Messico, come in Italia mette al primo
posto, nella scala dei valori, l'ecomonia, non il rispetto dei diritti umani. Mentre nelle
comunità i valori più importanti sono la democrazia, la giustizia, il
miglioramento collettivo. Il cardine della società indigena è la comunità
e chi ha posizioni di responsabilità ha ben chiaro il concetto di "comandare obbedendo".
E' questa la politica "dal basso", quella che ha dato inizio ai movimenti di Seattle, Genova,
Cancun. Qui a El Calvario si sopravvive con la coltivazione del caffè, il cui costo à
molto basso. Per cercare di diversificare l'alimentazione nei campi di caffè hanno
piantato alberi da frutta, nella milpa, invece, oltre al mais ci sono fagioli e zucche per
arricchire il terreno.
Tutti insieme andiamo al cafetal (i campi di caffè), mi spiegano come si coltiva, come
si concima, i lavori che servono per ottenere un buon prodotto: in poco tempo imparo quasi tutto
sul caffè organico (noi diremmo biologico); infatti la coltivazione è
assolutamente naturale, perché c'è un rispetto atavico per la "madre tierra".
Oltre che una scelta etica: il governo da un aiuto economico a chi coltiva non organico, quel
governo che li considera cittadini di seconda serie, che vuole invadere le loro terre,
perchè sono ricche di materie prime (petrolio, uranio, legname, acqua, piante medicinali
brevettabili), che non rispetta i loro diritti sanciti dall'articolo 39 della costituzione
messicana e dalla convenzione 169 dell'Organizzazione internazionale del lavoro, che vuole
creare conflitti interni tra indigeni zapatisti (che rifiutano ogni tipo di aiuto governativo
fino a quando non verranno rispettati i loro diritti già ratificati, ma mai attuati) e
indigeni filogovernativi.
Ritornata dal cafetal incontro la comunità per uno scambio di esperienze, vengo a sapere
che, alcuni anni fa, la comunità era riuscita a comprare, con molti sforzi e a costo di
molte privazioni, un camioncino di seconda mano, unico veicolo presente a El Calvario; una
notte, in cui veniva trasportata all'ospedale una partoriente con gravi problemi, esplose,
per un attentato compiuto dai paramilitari di paz y justicia, uccidendo anche gli occupanti
del veicolo. Era il 1998, nonostante le denunce, gli attentatori sono liberi ed impuniti e,
visto come vanno le cose, lo saranno per sempre. Questo è solo un esempio delle continue
minacce che tutte le comunità zapatiste e simpatizzanti subiscono. E' la guerra di bassa
intensità, che dal 1994 è presente in Chiapas: i 2/3 dell'esercito messicano
accerchia e compie violenze nei confronti di queste persone inermi, che, dopo il
"levantamiento" non hanno mai risposto alla violenza con la violenza. Ed il "lavoro sporco":
esecuzioni extragiudiziali, sparizioni, eccidi, distruzioni di interi villaggi lo fanno più
di 12 bande di paramilitari.
Mi parlano anche della speranza di ottenere la certificazione biologica del loro caffè
per poterlo vendere attraverso i canali del commercio equo, per loro più remunerativo,
ma attualmente non dispongono della somma richiesta per questa pratica.
Ritornando a San Cristobal rifletto su una frase che in tanti mi hanno detto "la nostra
povertà è un saccheggio", aggiungo che è cominciato coi conquistadores
spagnoli e continua tuttora con le politiche neoliberiste governative, che privilegiano le
multinazionali, soprattutto statunitensi, agevolate anche dal Nafta (trattato economico di
libero scambio tra Usa, Canada e Messico); così distruggono le economie comunitarie
delle popolazioni indigene, che non vogliono rinunciare alla loro terra, alla loro cultura,
al loro stile di vita.
Giovedì 14 agosto mi attende il primo giorno del "Foro sobre l'autonomia". Sono contenta di
parteciparvi per capire quale autonomia chiedono le popolazioni indigene e perché
questo problema è così pressante.
Entro nella sala del "Centro Don Bosco", dove si terrà questa 3 giorni di dibattiti e
di ricerca di possibili soluzioni; alle pareti sono appesi cartelloni in spagnolo, tzotzil,
tzeltal e chol (lingue indigene), che parlano di autonomia. Al microfono si susseguono per
tutta la giornata esponenti di gruppi o etnie che già praticano, in Messico, l'autonomia.
Il giorno successivo si tirano le conclusioni: l'autonomia non consiste nella secessione (tutti
gli indigeni vogliono essere messicani, ma vogliono anche i loro diritti riconosciuti dalla
Costituzione e dai Trattati internazionali), consiste piuttosto nel difendere la cultura
indigena, nel dare compimento alle leggi disattese, nel preservare le terre e le ricchezze
del suolo e sottosuolo, nel difendere i diritti indigeni di fronte ai governi, di organizzare
l'educazione, la salute, il modo di vivere e produrre secondo la tradizione.
Da questi concetti è nata l'esperienza dei municipi autonomi, che è un cammino
per avere una società più giusta ... un altro mondo possibile, o meglio ... un
altro mondo in costruzione. Infatti nascono dalla presenza e dal lavoro di Tatik Samuel
(il vescovo Ruiz di San Cristobal ora in pensione per raggiunti limiti di età) e
dell'EZLN, che ha saputo riunire le varie istanze di giustizia, di democrazia, di rispetto dei
diritti delle varie comunità indigene. Dagli interventi di Onecimo, direttore di CIEPAC,
informazione alternativa e Raimundo, direttore del centro che ci ospita, imparo che l'idea di
autonomia è propria di moltissime etnie latino americane: Mapuches in Cile, Aymara in
Bolivia, Miskitos in Nicaragua. In Messico il movimento più conosciuto è L'EZLN,
che dal 1994 ha cercato di rapportarsi con tutti i poteri del governo e dello stato del Chiapas,
senza risultati; ora hanno deciso di allargare il concetto di autonomia con i caracoles,
così si cerca di forzare la mano al governo.
E proprio l'esperienza del caracol mi aspetta lunedì 18. Faccio parte di una associazione di
commercio equo e il microprogetto che da alcuni anni portiamo avanti consiste proprio nella
commercializzazione di tessuti provenienti da cooperative di donne indigene di 3 municipi
autonomi ed una di queste è proprio ad Oventic, dove c'è il nuovo caracol. Per
andare a trovare le amiche della cooperativa "Mujeres por la Dignidad" devo chiedere
l'autorizzazione. Arrivo di buon mattino ad Oventic, le nuvole basse avvolgono ancora i boschi e
le valli creando un paesaggio quasi magico. Aspetto il mio turno per essere ricevuta dal
comitato di accoglienza, che è formato dai rappresentanti di ciascuna comunità
che fa capo al municipio autonomo di Oventic, siccome è una procedura nuova, in atto
da una settimana, non so bene che cosa fare. Finalmente sono ricevuta: sono 5 rappresentanti
delle diverse comunità, tutti con passamontagna o paliacate, che mi stringono la mano e
con grande gentilezza mi spiegano in cosa consiste l'innovazione del caracol: ha come strumento
basilare la " Giunta del buon governo" formata da 3 rappresentanti. Hanno la funzione di
vigilare sui progetti comunitari ,denunciare le violazioni dei diritti umani nelle comunità,
assistere e guidare la società civile nazionale ed internazionale nelle visite alle
comunità, portare avanti progetti, installare accampamenti di pace, mediare i conflitti
che possono insorgere nelle comunità ed hanno anche una funzione amministrativa.
Sono poi ricevuta dalla Giunta, a cui spiego il mio piccolo progetto, mi dicono che sarò
sempre la benvenuta, quindi posso raggiungere la tienda delle Mujeres por la Dignidad; rimango
con loro per tutto il pomeriggio; alcune donne hanno fatto 10/15 km a piedi per essere presenti.
Sono molto contente quando mostro loro le foto della giornata dell'8 marzo a Fidenza: avevamo
allestito una vendita dei loro tessuti ed una mostra fotografica, che le ritraeva mentre
tessevano o ricamavano. Tutte hanno la bellezza della dignità; come donne, come povere e
come indigene hanno dovuto superare mille ostacoli e mille pregiudizi fuori e dentro la loro
comunità per riunirsi in cooperativa. Ora sono contente, perché hanno aperto la
strada alle loro figlie. Aggiungo a tutte le mie riflessioni sull'autonomia anche quella che mi
suggeriscono le mie amiche: il ruolo fondamentale delle donne.
Il mio ultimo giorno nella "terra dei sogni" è dedicato alla visita di un'altra
cooperativa di tessitrici, che fa parte del nostro progetto: Nichim Rosas, è diventata
cooperativa, legalmente riconosciuta, grazie ad una cena messicana di raccolta fondi, che
abbiamo fatto lo scorso anno. Mi mostrano le novità della loro produzione: bluse, top,
pantaloni, gonne, abiti bianchi, tessuti a mano, confezionati a mano (non posseggono macchine
da cucire) e ricamati con grandi fiori bianchi. Porto con me tutto quello che riesco a mettere
in valigia. Incontro anche i maestri ,o meglio, i "promotores de education" di varie scuole
della zona un po' speciali: autonome. L'autonomia nell'educazione consiste nel creare, anche
con l'appoggio economico della società civile, scuole in ogni comunità, anche in
quelle più disagiate e lontane. Queste scuole autonome vogliono mantenere viva la cultura
autoctona e sono gestite appunto dai promotori di educazione, persone che sanno insegnare le
materie di studio (che sono lingua locale, spagnolo, matematica, dalla storia della comunità
alla storia del mondo, costruendo l'autonomia, la nostra terra, sport) in maniera volontaria,
fanno lezione 2/3 giorni la settimana, per il rimanente tempo lavorano, in genere in campi, per
vivere. Le scuole che vedo sono "spartane": pareti di assi di legno, tetto di lamiera, pavimento
di terra, banchi costruiti dai genitori degli allievi e disegni alle pareti. Mancano molte cose:
le lavagne, i quaderni, le matite, le cartine geografiche. Sono molto contenta di poter
partecipare anch'io, seppure in piccolissima parte, all'istruzione di tantissimi bambini e
bambine che sono la speranza di queste comunità, cosí ricche di libertà,
di dignità, di giustizia, ma povere di cose. La cena messicana di quest'anno è
appunto servita a comprare lavagne e materiale scolastico per quante più classi
possibile. Come ricordo di questa mia ultima giornata dono ai maestri un racconto del
subcomandante Marcos illustrato da un mio carissimo amico, GianLuca Foglia: con disegni
semplici, allegri e colorati si racconta di come una nuvola piccola piccola sia riuscita a
far piovere in una parte del deserto, così da far nascere fiori e piante.
Ritornando a casa riporto con me alcune sensazioni, che faccio fatica a tradurre in parole ...
la dignità di tante persone, riunite in collettività, sono una forza
indistruttibile, non negoziabile, sono l'arma più efficace per la costruzione del mondo
in cui anch'io voglio vivere: un mondo dove siano riconosciuti gli stessi diritti per tutti e
dove la diversità sia una ricchezza.
Jambo, Associazione per il Commercio equo e solidale
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ultimo aggiornamento 19/10/2021