H O M E P A G E

In India con zia Alberta

seconda parte

20-21 Febbraio, Hampi
Alle sette di mattina sono in strada, l'aria è piacevolmente fresca, anche in considerazione della canicola diurna. Alle otto, dopo la colazione, partiamo io ed Elisabeth in bicicletta, assieme ad una guida che avevamo conosciuto il giorno precedente, di nome Rama. Rama si era presentato sostenendo che Hampi, ai tempi d'oro, era molto più grande di Roma, quando era capitale dell'impero. Pedaliamo fuori di Hampi Bazar ed il primo luogo che visitiamo è il tempio di Ganesh, anch'esso realizzato con sottili pilastri in granito scolpiti con ogni tipo di divinitą del pantheon indiano che ne conta più di mille. Ganesh è però uno dei più simpatici, sarà per la proboscide, o per la sua bizzarra storia o perché si dice che porti fortuna. Certo il figlio di Shiva, ispira tenerezza, non è da tutti essere trovato a letto con la madre, essere decapitato dal padre, che accortosi dell'errore vi riattacca la testa del primo animale che passava, un elefante appunto. All'interno del tempio vi è un enorme statua monolitica di Ganesh, alta più di sei metri, davvero impressionante. Ci spostiamo con la bicicletta fino al successivo grande tempio, anch'esso situato alla fine di un gran bazar, il tempio di Shiva. La guida ci dice che il tempio si estendeva per undici ettari; la cosa più bella sono quattro danzatrici scolpite in un bassorilievo all'entrata, che mi colpiscono per il seno davvero prominente, da maggiorate. Nei pressi del tempio in aperta campagna c'è un'altra enorme statua monolitica, quella di Narasimha. E' un'enorme divinità dalla testa di leone, seduta sulle spire di un serpente, con gli occhi sporgenti fuori dalle orbite come un pupazzo di Walt Disney. A pochi metri c'è un enorme lingam monolitico, chiamato Badavi Linga, di oltre tre metri, da fare invidia anche a Rocco Siffredi. Decidiamo di rientrare visto che la calura incomincia già a farsi sentire. Facciamo nuovamente la bella passeggiata fino al grande mango, dove restiamo a prendere il fresco e a mangiare.
Nel pomeriggio decido di salire fino in cima alla Matanga Hill, una collina che sovrasta tutta Hampi; la salita è un po' faticosa, il sentiero sconnesso e realizzato con gradini fatti di pietra oppure scolpiti nelle rocce onnipresenti. La fatica è ampiamente ripagata dalla vista che spazia a trecentosessanta gradi su tutto il panorama fiabesco di Hampi, le rocce, i templi, il fiume, il verde dei bananeti, davvero emozionante. Aspetto il solito tramonto, e poi scendo per un sentiero molto più facile, dalla parte opposta rispetto a quella da cui ero salito. Buona cena sul roof del ristorante Moon Light e poi a letto.
La mattina successiva, alle otto in punto sono già in sella alla bicicletta; ho ingaggiato di nuovo la guida per un giro, questa volta da solo. La mattina è bellissimo gironzolare in bici, è tutto molto silenzioso e senza turisti, e con gli indiani impegnati nella loro vita quotidiana. Visito altri templi, di cui uno ancora aperto al culto, dove ricevo l'ennesima benedizione in cambio di poche rupie, anche se evito di bere l'acqua che mi porge il bramino. Nell'area archeologica c'è un'altra grande statua di Ganesha, di circa tre metri di altezza con un serpente avvolto intorno all'ombelico. La guida dice "belly" ma io capisco "belìn" e rimango un po' perplesso. Visti altri edifici sacri, pedaliamo fino ai complessi reali, davvero grandi e dall'architettura mista tra Hindu ed Islamica, e la presenza ricorrente dell'arco moghul che fa molto India. Visitiamo le torri di guardia e poi il quartiere delle regine, con il palazzo ed il bellissimo Lotus Mahal, capolavoro dell'architettura indo- islamica. Si passa nel cortile successivo dove ci sono le famose stalle degli elefanti, undici grandi stanze sormontate ciascuna da una cupola. Si dice che il re ne possedesse più di ottocento i preferiti dei quali erano alloggiati nelle stalle. Ci rechiamo successivamente nel vicino complesso archeologico, abitato dal re, con una grandissima struttura destinata al sovrano quando assisteva agli spettacoli di danza. Tutte le pareti sono scolpite con bassorilievi con scene di vita indiana.. Molto è stato distrutto, si riesce però a vedere ancora l'acquedotto che alimentava la reggia, i bacini di raccolta e molte altre costruzioni. Nei pressi del palazzo c'è ancora un altro importante tempio, segnalato da un grosso pilastro, che veniva illuminato come un faro.
Il tempio è dedicato a Rama; ci sono vari complessi e la sala dei pilastri che contiene il sancta santorum e ha al centro quattro enormi pilastri in marmo nero, scolpiti con raffigurazioni sacre e di yoga. Non c'è nessuno a parte una donna che pulisce tutti i bassorilievi con una piccola scopa di saggina, come quella che qui utilizzano ovunque. Me ne torno soddisfatto ad Hampi e faccio un giro per negozietti. Purtroppo Alberta mi informa che il bar del mango tree è chiuso; il fratello del proprietario è morto ucciso dal morso di un serpente. L'incantatore che avevo visto ieri con due cobra, girava per la città chiedendo offerte per comprare il latte per i suoi serpenti. Il fratello, ubriaco, alla richiesta di soldi aveva afferrato violentemente un cobra, che lo aveva morso; neanche il tempo di arrivare all'ospedale. Questa storia è sulla bocca di tutti fin dalla sera di ieri, e come in ogni paesino che si rispetti non si parla d'altro. Dobbiamo cambiare luogo per trascorrere le ore calde; ci indicano un altro posto sul fiume che in effetti è molto bello; mangio il piatto locale, la pakata, una specie di torta rustica con ripieno di verdure, e poi vado a rilassarmi su un'amaca, chiacchierando con due ragazze tedesche (una davvero bella) ed un ragazzo israeliano. Tutti e tre sono molto fumati, comunque la conversazione è molto piacevole tra un tiro e l'altro. Nel pomeriggio saliamo sulla collina adiacente al tempio principale di Hampi, il Virupaksha, con il suo enorme gopuram; la collina è abitata da una folta colonia di scimmie. Il posto, neanche a dirlo, è bellissimo anche qui pietre mimetizzate con templi e sculture. Bel tramonto. Per cena pollo e verdure.

22 Febbraio, Badami
Alle sette e un quarto sono sulla terrazza della guest-house per un'ultima colazione a base di toast, uova, caffè e spremuta d'arancio. Prima delle otto siamo già in marcia per Badami. Johnny, come al solito, non sa la strada, e si vergogna a domandarla; ogni tanto ci troviamo in direzione contraria, i cartelli sono per lo più scritti in caratteri indiani. Percorriamo per un po' la strada principale per Solapur, verso nord, è trafficatissima di camion, e si procede a passo di lumaca. A Kushtagi abbandoniamo la strada principale e ci inoltriamo su una strada secondaria. Sembra, come nel film ritorno al futuro, di fare un salto indietro nel tempo; a parte le condizioni precarie del tracciato, ci troviamo immersi nell'India rurale, nello sterminato altopiano del Deccan, lontano da ogni globalizzazione possibile. Ovunque ci si fermi grande curiosità, persone che si radunano per salutarci; ci fermiamo ad ammirare e fotografare i carri trainati da buoi, ancora tutti addobbati per la recente festa. Siamo chasseurs d'images, come dice Elisabeth ; in quale altro paese, a parte l'India, la gente non chiede niente per farsi fotografare, anzi si mette in posa e ringrazia alla fine. Accanto a queste stupende immagini ci sono anche scene di povertà e di miseria, casupole e tuguri. Intorno all'una siamo a Badami, e dopo aver visionato un primo hotel un po' fuori dal paese ci sistemiamo proprio in centro città. Facciamo fatica a comunicare, in quanto i gestori non parlano nemmeno l'inglese, comunque le camere sono più che dignitoso ed il prezzo davvero ridicolo. Andiamo a pranzo nell'adiacente ristorante, anch'esso molto indiano, davvero bello; ci sistemano dentro un separé in legno e poi chiudono la tendina. Mangiamo molto bene, patatine fritte e pollo. Faccio quattro passi per la città sotto lo scoppio dal sole, tra uomini dal turbante giallo ed enormi bancarelle di uva bianca. E' molto caldo, penso che si sfiorino i quaranta gradi. Alle quattro ci incamminiamo verso la città monumentale, dopo qualche passo optiamo per un calessino trainato da un debole cavallo e, seduto a cassetta, attraversiamo la città vecchia, che appare splendida con le sue case bianche e le porte coloratissime. Ovunque è pieno di vita; al termine del villaggio ci troviamo in un bellissimo anfiteatro naturale, al centro del quale c'è un grande bacino d'acqua, sul quale si affacciano due templi detti di Bhutanatha. Facciamo il giro del laghetto, assediati da nugoli di bambini che si propongono come guide. Dietro il tempio ci sono delle antichissime sculture nella roccia che rappresentano le principali divinità indiane e c'è una grotta molto piccola e dall'accesso difficoltoso nel quale è scolpito un bellissimo Budda. Arriviamo all'ingresso delle famose grotte di Badami, ma sono le sei e stanno chiudendo l'accesso. Ridiscendiamo a piedi attraverso la cittą vecchia, con una grande emozione per la bellezza del luogo, l'incontro con la gente che è incuriosita dalla vista degli stranieri e vuole stringere amicizia, meravigliosi scorci che si aprono su templi indu, moschee, porte intarsiate, cortili dipinti. Ovunque tanti bambini che ci fanno festa. E' bello sapere che esistono ancora posti così veri ed autentici, lontano dall'omologazione del turismo di massa, dagli Internet Point, dai menu che offrono "spagatti ai fungi". E' un abbraccio all'India più autentica e più dolce. Sulla via principale c'è una grande animazione e fervore di attività, ci fermiamo a bere qualcosa e poi rientriamo in albergo. Viene in stanza un cameriere per portarmi le lenzuola "pulite" e saputo che sono italiano mi fa grandi lodi di Sonia Gandhi, la moglie italiana di Rajiv Gandhi e ora candidata come primo ministro per il glorioso partito del Congresso. Mi parla con disprezzo dei "mussulmani", che chiama gli amici di Saddam, che oggi pomeriggio avevano sfilato in una coloratissima manifestazione politica; in questa zona i mussulmani sembrano particolarmente numerosi e i rapporti con gli indu non devono essere proprio idilliaci, visto anche il gran numeroso di soldati dell'esercito che si vedono in giro. Guardo un po' la televisione con i programmi in stile Bollywood che farebbero la felicità di "mai dire tivvù".

23 Febbraio, Badami
Questa mattina abbiamo programmato una escursione in macchina in alcuni siti nelle vicinanze, risalenti al periodo della dominazione Chalukya, dinastia che dominò l'India del Sud, dal 540 al 757 d.C, con capitale proprio a Badami.
Come prima tappa ci rechiamo a Pattadakal, ad una trentina di chilometri da Badami, dove esiste un bellissimo complesso di templi, patrimonio dell'Unesco, che risalgono al 7-8 d.C. capolavori dell'arte dravidica che serviranno come riferimento architettonico per tutti i templi dell'India meridionale. Ovunque bellissime sculture, con raffigurazioni molto sensuali e raffinate. Anche all'interno dei templi preziosi pilastri scolpiti, ovunque pannelli a bassorilievo con raffigurazione di episodi dei grandi libri sacri indiani quali il Mahabharata e il Ramayana. Grande statua nera del toro Nandi, con scorci magnifici sul sottostante fiume; posto veramente eccezionale. Ci rechiamo come tappa successivo al villaggio di Aihole e percorriamo le campagne dell'altopiano del Deccan, con le sue infinite coltivazioni e gli alberi esotici. Davvero fuori dal mondo, con villaggi che parrebbero Africa se non fosse per l'abbigliamento dei suoi abitanti. Dopo un po' di strada sterrata arriviamo ad Aihole, piccolissimo villaggio cresciuto in mezzo ai templi, più di cento che sono un po' ovunque. Il tempio più importante, quello di Durga, anch'esso di arte chalukya, ha una forma a ferro di cavallo e anch'esso un incredibile numero di sculture e bassorilievi. Una scolaresca ci circonda incuriosita e ci assale con le solite domande e richieste di foto. Rientriamo in hotel quando il sole è ormai cocente. Alle quattro Alberta ed io, prendiamo un calesse e ci facciamo portare all'ingresso delle grotte, quattro grotte di varie epoche tutte scolpite al loro interne con enormi statue dedicate a Shiva, Vishnu, mentre l'ultima è dedicata alle divinità della religione jainista. Dalle grotte si ha un bellissimo panorama sul sottostante villaggio bianco di Badami, sulle moschee poste all'ingresso e sulla madrasa, la scuola coranica. Ritorniamo a piedi attraverso il paese bianco, ed oggi è giorno di mercato, ovunque per terra sono in vendita frutta e verdura, esposte con il solito gusto di chi riesce a trasformare un mucchio di cipolle in una scultura. La sera le mie condizioni di fisiche e di stomaco sono pessime, crollo in camera.

24-25-26 Febbraio, Palonem
Sono un vigliacco, ma ho cambiato programma, per la prima volta da quando viaggio non porto a termine l'itinerario che mi ero prefissato e stabilito fin dall'Italia, per Bijapur e poi Bombay, ma viste le mie precarie condizioni di salute ed il caldo torrido che assedia l'India, opto per rientrare con Alberta agli ozi di Palolem, per trascorrere comodamente al mare gli ultimi giorni di vacanza. Ci aspetta un lungo tragitto in macchina, attraverso strade pessime e trafficate, con Johnny che ci costringe a mutare rotta; più di nove ore fino a Margau dove compro il biglietto aereo Goa-Mumbai; alle cinque siamo seduti al Magic Italy e preso possesso della mia capannina mi rituffo con gioia nelle onde dell'oceano Indiano.

27 Febbraio, Bombay
Ultima mattina, sulla spiaggia con la folta comunità italo-francese, che mi ha riservato in questi giorni di riposo racconti di vite incredibili, al di fuori della normalità, mi sono sentito quasi in imbarazzo per la mia vita così normale.
All'una e trenta Johnny viene a prendermi con il taxi, saluto tutti, e con particolare affetto Alberta e si parte alla volta dell'aeroporto attraverso la strana India un po' europea di Goa, con le sue chiesette bianche e gli hippies in motocicletta. L'aeroporto è un casino, l'aereo in ritardo, il volo tranquillo. Ritirato il bagaglio mi ritrovo su una scassinata Ambassador verso il centro di Bombay, attraverso le strade della megalopoli di dieci o forse quindici milioni di abitanti. Traffico impazzito e rumoroso, quartieri di case e bidonvilles che convivono, negozi su un lato della strada e baracche dall'altra. Un'ora attraverso il caos, attraverso spaccati di realtà abbastanza squallidi.
Mi ridesto davanti alla stazione centrale, uno spaccato di Londra neogotica, ci sono pure i bus rossi a due piani. L'hotel che ho prenotato è nel quartiere turistico di Colaba, ed è abbastanza carino, ho una stanza vera dopo tanti giorni in una capanna, questa sera non dovrò accendere gli zampironi per le zanzare. Esco per la Colaba Road, tra negozi per turisti, ambulanti e mendicanti, che ti chiamano e cercano di tirarti dalla loro parte, insieme a quelli che ti offrono smoke, hashish o massaggi. Raggiungo il lungomare dove si affaccia il più importante monumento coloniale, il Gateway of India, ed il più famoso e lussuoso hotel di tutta l'Asia, il Taj Mahal hotel. Passeggiata molto bella con le luci e le barche che si riflettono sul mare. Rientro in hotel attraverso Colaba Road che si sta svuotando, un topo enorme mi attraversa la strada.

28 Febbraio, Bombay
Mi sveglio presto e vado al Gateway per fare qualche fotografia, la luce è molto bella ed anche tutta la situazione. Il Gateway of India è un grosso arco di trionfo, costruito all'inizio del novecento per commemorare l'arrivo di Giorgio V, imperatore delle Indie, ed è il punto di ritrovo più famoso di tutta Bombay. Purtroppo a quest'ora non ci sono turisti in giro e subisco l'assalto dell'esercito dei venditori, truffatori, mendicanti, procacciatori d'affari. Riesco con difficoltà a fare le mie foto, anche se dopo un po' mi sento quasi mimetizzato, se non fosse per le bambine mendicanti, di una insistenza e di una insolenza davvero mai sperimentata; non so più che tattica utilizzare, se le ignori loro si avvicinano ancora di più e mi toccano sulle mani, se le guardi ricominciano con la loro cantilena, se gridi non si spaventano minimamente, un vero flagello in questa umanità devastata; e dire che fino ad adesso nell'India di Hampi avevo sempre tenuto spiccioli pronti in tasca per qualunque richiesta di elemosina, ma qui è impossibile, non basterebbe un bancomat.
Mi allontano un po' e prendo un taxi per farmi portare al Chor Bazar, il mercato dei ladri. Il taxista, che chiacchiera come un matto sulla solita Sonia Gandhi, pensando che io voglia fare compere, decide di sua volontà di portarmi in un negozio di sua fiducia, dove sicuramente prenderà la commissione. Prima in maniera pacata, poi urlando riesco a farmi lasciare al Bazar; finalmente un bel pezzo di città, che comunque anche dai finestrini del taxi mi aveva fatto una bella impressione.
La zona del bazar è priva di turisti e di acchiappa-turisti, si vende e si ricicla di tutto, si smontano le macchine pezzo per pezzo, si vendono montagne di chiodi arrugginiti, cuscinetti usati, improbabili chiavi a rullino di ogni dimensione. Le case sono di legno ed il quartiere è abitato da mussulmani, infatti le donne non si dedicano ai commerci, ma ci sono solamente uomini.
Oggi è giorno di festa, ed in molti sono abbigliati di bianco con in testa un bel berrettino ricamato. In molti posti si distribuisce gratuitamente acqua da bere. C'è una lunga via con botteghe che vendono modernariato, cimeli vittoriani, vecchi telefoni, grammofoni, vasi cinesi e statuette francesi. Molto divertente, mi sono già riconciliato con questa città e penso che la prossima volta che tornerò alloggerò ben lontano da Colaba. Nel pomeriggio continuo a bighellonare per la città, con sosta mangereccia al famoso caffè Leopold, molto amato dai viaggiatori, e raccomandato da tutte le guide; è un bel locale in stile coloniale, con arredo originale e camerieri molto simpatici, sicuramente un indirizzo da non mancare. Alle otto di sera arriva il taxi per l'aeroporto, un'altra Ambassador, che però questa volta, al contrario di quella dell'andata, fa il giro dei quartieri buoni, Marina Drive, affacciata sul golfo arabico, gli hotel, ogni tanto qualche moschea illuminata a festa. Alla fine arrivano anche le bidonvilles; il taxi è bloccato in mezzo al traffico, sotto uno squallido ponte in cemento in mezzo alle baracche. Dai finestrini aperti, si intrufola dentro la macchina una ragazza giovanissima con in mano un bambino di pochi mesi e comincia con le solite filastrocche lacrimose; quei due occhi neri che mi guardano fisso sono l'ultima immagine dell'India di questo viaggio, insieme a quella mano tesa sulla quale metto l'ultima rupia che ho in tasca. E' giunto sul lato opposto un altro bambino, ma questa volta il taxi riesce a ripartire in mezzo al traffico.

Michele Buzzi

Per informazioni su questo ed altri viaggi, il sito di Michele: Oltre il viaggio


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