Fisso una settimana di ferie a cavallo del 1° maggio, la sera stessa mi telefona un amico: «Secondo te, se vado in Iran da solo la settimana del 25 aprile è pericoloso?». «Certo che sì, ma se ci vai la settimana dopo vengo anch’io e non è più pericoloso, anzi è abitato da uno dei popoli più ospitali al mondo». «Va bene, però ci andiamo sfruttando il couchsurfing». Inizia così uno dei miei viaggi umanamente più belli.
Ero già stato in Iran sette anni fa per tre settimane conducendo un gruppo di Avventure nel Mondo con 17 partecipanti, avevo potuto assaporare la grande cultura del popolo persiano ma avevo soltanto intravisto la sua meravigliosa ospitalità con i tanti inviti a cena che avevo purtroppo dovuto rifiutare.
Arrivati a Teheran e perse alcune ore per ottenere il visto all’entrata, andiamo a fare una prima passeggiata per il bazar, gustato il primo frullato al gusto di carota-mango e rinviato a domani l’assaggio di quello rossissimo al melograno, e visitiamo una prima moschea dove ci aggancia un signore che ci accompagna a visitare una piccola stupenda moschea nascosta con il soffitto di cristalli e alcuni caravanserragli all’interno dell’immenso bazar. Ci aspettiamo che sia una guida che alla fine ci chiederà una mancia oppure che ci conduca nel classico negozio di tappeti, invece si scusa perché deve lasciarci e tornare al lavoro.
Visitiamo il favoloso Palazzo del Golestan (dove si può ammirare l’arte del disegno su mattonella) quindi scendiamo nell’immensa metropolitana di Teheran in cui non capisco perché il mio amico entra in una carrozza affollatissima e allora io entro in quella vicina con molto più spazio: è la carrozza solo-donne e velocemente mi rifugio nel caos di quella vicina: uffa!
Scendiamo in una stazione di periferia dove dovremmo incontrare la coppia che ci darà ospitalità in un sobborgo, Pardis, a qualche chilometro dalla popolatissima capitale. L’uscita della fermata dà direttamente su una piazzola della superstrada, dove da una macchina ferma scendono felicissimi e sbraccianti i nostri due ospiti, tra l’altro lei è incinta dell’ottavo mese, con i capelli corti, la passione per il Madagascar e sempre meno voglia di indossare il velo che sembra diventare sempre più una sciarpa. Mentre ci dirigiamo verso casa il motore comincia a fumare, l’auto ha perdite d’acqua, il marito decide di portarla dallo stesso meccanico che alla mattina gli ha detto non esserci problemi, e noi prendiamo un taxi che naturalmente pagherà la padrona di casa. Ma scherziamo?
Ci porta all’appartamento che ci accoglierà (gratis) e dopo aver verificato che stiamo comodi e soddisfatti, ci trasferiamo nella sua bella casa nuova per il pranzo insieme al marito. E non si può che cominciare con un brindisi a base di ottimo vino rosso artigianale: neanche a dirlo, l’alcool in Iran è proibito ma tanti si sono ingegnati e hanno imparato a produrlo artigianalmente, e il risultato è ottimo con una certa somiglianza con il vino francese, Al secondo bicchiere sono un po’ brillo e mi fermo perché prendere una sbornia in Iran sarebbe veramente irraccontabile.
Normalmente si beve tè o yogurt salato (il famoso dugh, in turco ayran, che a furia di gironzolare in questa zona mi piace eccome) e per un pranzo leggero si mangia il tipico celo kebab, riso cotto al vapore e«sporcato» con zafferano (che ritroveremo anche in ottimi dolci) e carne grigliata con pomodori scottati e varie salse deliziose spesso a base di yogurt con uvette o noci, tutte speziate ma in modo perfetto per non coprire il sapore del cibo, in fin dei conti il «mangiare» è una cultura e la gastronomia persiana occupa un posto di rilievo in un’eventuale classifica mondiale. E se lo dice un emiliano… Lo si vede anche dal pane sempre ottimo, sfornato in pezzi grandi che piegati sono spesso visibili sui manubri dei motorini o in mano a chi torna dal lavoro, a vederlo sembrano immense piadine rettangolari, spesso con attaccate le pietre su cui viene cotto.
Di questo pomeriggio c’è una frase, magari banale, magari scontata, che ancora mi rimbomba nella testa: «il vino è buono, perché non possiamo berlo?» che magari si può ridurre in un «perché noi non possiamo?», riferito a tutti quegli assurdi divieti che rendono più difficile la quotidianità, soprattutto delle donne, tutti divieti che non appartengono alla cultura di questo popolo aperto e curioso verso l’esterno come pochi altri. Facebook, Youtube, Twitter, ecc. ecc. sono tutti censurati dal governo ma tra tutti i giovani e anche meno giovani girano programmi antifiltro e tutto diventa accessibile, ma spesso vengono anche rallentate le trasmissioni dati.
Insomma c’è da lottare e da rischiare per cambiare. E va bene Facebook come mezzo di comunicazione ma a detta di tutti i nostri ospiti, e adesso a detta anche nostra, molto meglio Couchsurfing che permette la conoscenza reale: qui gli iscritti mettono a disposizione ospitalità, o meglio metterebbero a disposizione un divano, ma a noi è sempre capitato un appartamento, in cambio di un eventuale ospitalità reciproca e il tutto diventa un soggiorno gratuito a casa di sconosciuti che ti trattano come uno di famiglia, offrendoti anche grandi mangiate e visite particolari delle loro città insieme ad un sacco di umanità.
Non male questa tipologia di viaggio. Se proprio si vuol cercare difetti a tutti costi, si può notare un eccesso di zelo che comunque appartiene sempre all’umanità che regalano. Non trovavamo un biglietto aereo, al che stavamo pensando di cambiare l’itinerario previsto ma niente da fare ci arriva la telefonata del padrone di casa che ci ha messo in lista d’attesa sul volo che volevamo e la mattina dopo abbiamo il biglietto sicuro. Rimaniamo positivamente sconcertati.
Anche la televisione satellitare benché proibita è molto diffusa e Jes, una studentessa che ci accompagna nel secondo giorno ad Isfahan parla un italiano perfetto, imparato guardando tutte le sere qualche programma alla televisione italiana, studia arte teatrale e sogna di venire un giorno in Italia a recitare, ma intanto tutte le mattine quando esce di casa soffre per le occhiate cattive e rimproveranti delle donne religiose del suo quartiere, un quartiere povero con poca gente che ha studiato e quindi tanta ignoranza che ben si sposa con le proibizioni di regime, e non che Jes sia vestita in modo scostumato: ha in testa un velo un po’ più corto e di colore rosso.
Come tutti i nostri ospiti ci dice che non andrà a votare a giugno perché ha perso speranza in un cambiamento regolare dopo le manifestazioni e le drammatiche repressioni di quattro anni fa in cui tra l’altro rimasero uccisi due suoi cari amici proprio di fianco a lei. «È la paura quella che comanda la nostra vita in Iran e solo combattendola potremo sperare in un futuro nuovo». e se torneranno le manifestazioni di protesta Jes dice che sarà di nuovo in strada. Ha un piccolo lavoro in un giornale culturale e spende tutto quello che guadagna in libri.
Sembra assurdo ma l’Iran è sicuramente la nazione in cui ho guardato più spesso le donne per strada, hanno l’obbligo del velo e di vestiti «decenti» e proprio qua si gioca la pazienza e la protesta femminile: tante sono le anziane e non spessissimo anche le giovani religiose con il velo nero e nessuna ciocca di capelli fuori posto, ma la maggior parte delle ragazze gioca tutta la propria femminilità e la propria sensualità con forti trucchi del viso, vestiti lunghi che non devono mettere in risalto le forme ma che appartengono spesso alla misura inferiore in modo da essere più aderenti. Ma il gioco forte è la posizione del velo spesso colorato che si sposta sempre più verso la nuca lasciando libera alla visione una buona parte di capigliatura e spesso viene sfruttato il trucco della coda di cavallo: con i capelli lunghi le ragazze raccolgono dietro i capelli creando una base per l’appoggio del velo così da lasciare scoperta una bella fetta di testa, è un modo di contestare un’imposizione. Certo a noi occidentali abituati a tutto per strada sembra di vedere persone fini e non volgari ma è l’obbligo di questa «moda» che non viene digerito.
Mi fermo a guardare alcune bancarelle che pubblicizzano un viaggio alla Mecca e opere d’arte religiosa, un signore mi avvicina e mi sussurra: «Queste cose non ci appartengono e per colpa loro tutto un popolo è triste». Loro sarebbero gli arabi, una minoranza del 5% legata al potere religioso e mai troppo ben vista dalla popolazione persiana. Fare una passeggiata al venerdì da un’idea più conservatrice del paese: Shiraz è quasi deserta, tutti i negozi chiusi tranne quelli dei dolci, le moschee strapiene dove gli uomini si lanciano a toccare il feretro di un martire per poi uscire camminando all’indietro in preda al delirio religioso. mentre i meno religiosi sono sulle colline a fare picnic.
Sette anni fa ero rimasto sbalordito della bellezza delle moschee e degli alti minareti azzurreggianti, dalla cura dei leggendari giardini persiani, dalla suggestione di paesini sulle montagne completamente dimenticati dal tempo, dagli immensi bazar con il forte profumo di spezie. Questa volta rimango colpito solo dalla gentilezza, dalla socievolezza e dall’ospitalità del popolo persiano. L’altra volta ero rimasto venti giorni visitando il Paese in lungo e in largo, questa volta mi accontento di una settimana, anche se sette giorni bastano soltanto per cominciare ad ambientarsi ed una volta capito qualcosina è già ora di rientrare a casa.
C’è però il tempo sufficiente per riempire il borsone (opportunamente portato anche se semivuoto) di pistacchi, fichi secchi e un sacco di dolci, in particolare di quelli lavorati con cannella, chiodi di garofano e zafferano nonché cardamomo comprati nella miglior pasticceria iraniana a Yazd, pasticceria che avevo già opportunamente «rapinato» anche tre anni fa, senza dimenticarmi di comprare il favoloso torrone al pistacchio e zafferano di Qom e i gas di Isfahan (piccoli torroncini morbidi con pezzi di pistacchio). E nei bazar non si può fare a meno di assaggiare i prodotti locali ben esposti nelle coloratissime e profumate bancarelle di spezie, dove l’assaggio oltre che gradito è proposto con cortese insistenza agli stranieri. Siamo molto attratti da grossi cilindri marroni (yogurt solido e acidissimo) e da palline bianche, ci dicono che è sempre yogurt ma assomiglia a formaggio di capra per cui ne compriamo un po’ da portare a casa e intanto assaggiamo anche un altro strano prodotto bianco che non riesco a sciogliere in bocca: non sarà mica un gessetto?
Vicino ad ogni moschea ci sono i tavolini dove vendono l’halwa un dolce tradizionale venduto a fette, che si presenta come un immenso cilindro ricoperto di pistacchi ed è fatto con riso, fichi e datteri. E con le nostre buste piene di pistacchi e prelibatezze locali andiamo a caccia del paludeh, una bevanda ghiacciata tipica di Shiraz e Yazd prodotta con piccoli semi colorati e dal gusto di rosa, dolce ma allo stesso tempo dissetante. Come al solito ci aggancia un simpatico signore locale che ci vorrebbe ospiti a cena ma purtroppo rifiutiamo per andare a vedere la ginnastica locale in uno zarkudeh, e quindi offre lui la bevanda.
Muoversi con i mezzi locali è semplice, sennonché difficilmente nelle biglietterie si trova personale che parla inglese e la prima notte dedicata agli spostamenti la facciamo su un bus di linea che parte solo quando è pieno e la seconda invece riusciamo a salire sui VIPbus di prima classe, pullman di soli 39 posti con poltrone che ricordano la business class degli aerei, e il costo è sempre ridicolo grazie soprattutto al prezzo bassissimo della benzina , passata dai 7 centesimi di euro al litro del 2005 ai 12 di oggi. Proviamo anche il treno, purtroppo nel treno notturno da Teheran a Isfahan non concedono posti ai turisti così lo prendiamo per uno spostamento diurno da Isfahan a Yazd, e per fortuna la solita gentilezza iraniana fa sì che ci avvertano all’arrivo alla stazione di Yazd perché rischiavamo di prolungare clamorosamente il tragitto.
Tornati a Teheran ci aspetta un’altra ragazza contattata con couchsurfing, che insegna francese, ci aspetta in aeroporto e ci porta a visitare la Teheran che frequentano loro, andiamo subito sulla montagna da cui si domina la città, c’è gente che corre, coppie che guardano il panorama, ecc. ecc. e noi rimaniamo a osservare alcune villette costruite sulla cima di grattacieli: incredibile! Quindi ci spostiamo in un’altra zona periferica vicino al rinomato e terribile carcere di Evin, famoso per essere l’ultima residenza ufficiale di molti prigionieri politici di cui non si conosce la fine. Tutt’attorno vecchie villette e un’altra zona «mondana» della città, lungo un torrentello sono stati costruiti tanti piccoli ristorantini sempre pieni durante il weekend (giovedì-venerdi).
Queste zone sono il top della vita mondana iraniana come tutti i giardini, e come lo splendido parco attorno al ponte storico di Isfahan dove in una sera qualsiasi siamo andati a bere tè e mangiare shirini (dolcetti) e datteri dopo cena con i nostri ospiti come da tradizione, con tutt’attorno famiglie che cucinavano kebab e compagnie di ragazzi intenti a fumare le pipe d’acqua (in arabo narghilé, in parsi elion), sotto gli archi del ponte c’è chi gioca a «telefonare» da un arco all’altro sfruttando l’acustica, c’è chi si cimenta da solo in esibizioni canore per lungo tempo e addirittura gruppi di gente che si esibiscono in performance corali con tanto di pubblico acclamante.
A volte sembra di avere a che fare con dei pazzi, ma forse sono solo persone da troppo tempo frenate nelle proprie libertà. Una cosa negativa, che ho notato, è la passione di tanti giovani di ambo i sessi nel rifarsi il naso: fin da subito ho visto qualcuno con il cerotto sul naso, e poi tutti i giorni soprattutto a Teheran ne vedevo sempre di più finché una ragazza mi ha spiegato questa deleteria moda di assomigliare ai divi hollywoodiani. Certamente io spero in un cambiamento con maggiori diritti e meno costrizioni, ma magari senza che si scimmiottino del tutto le abitudini negative di una fetta di occidente con il mito dell’immagine.
D’altra parte, malgrado qualche elegantissima coffee house (in cui tre ragazze alla moda festeggiano un compleanno con torta e piccoli fuocherelli d’artificio nonché bottiglia di champagne, analcolico ovviamente) i locali più frequentati restano quelli dove si fuma l’elion, frequentati da soli uomini. Si beve tè e forniscono l’apparecchiatura per fumare dotata di contenitore d’acqua, uno o due tubi per fumare e un fornello dove è inserito il tabacco al sapore scelto (i più gettonati sono menta ed arancia) e sopra carboncini roventi, alla fine resto un’ora a fumare e veniamo coinvolti dai locali, tra cui una simpatica coppia di personaggi che ha costruito una pagina su facebook per le elezioni di giugno con fotoritocchi fatti da photoshop dove l’uomo grosso e barbuto è insieme ai personaggi famosi della Terra, un modo ironico di avvicinarsi all’appuntamento elettorale, periodo però di cui tutti hanno un po’ di timore, tant’è che in questi giorni si stanno celebrando molti matrimoni in modo che chi vive all’estero non sia presente in tale periodo. Sembra tutto tranquillo ma il ricordo delle manifestazioni di quattro anni fa finite nel sangue resta vivo.
Quando parli di andare in Iran tutti ti guardano strano perché lo considerano un Paese pericoloso mentre è forse per il turista uno dei Paesi più sicuri al mondo, a patto ovviamente di non cacciarsi volutamente nei guai e di indossare vestiti coperti per le donne, ma soprattutto a patto di saper attraversare le strade di Teheran malgrado il traffico sempre caotico e la guida spericolata dei persiani. Certo spesso ci sono i ponti pedonali ma vuoi mettere passare sulle strisce pedonali dove nessuno le rispetta.
A chi mi chiede se ho trovato un Paese cambiato rispetto alla visita di sette anni fa, rispondo che sono io ad aver visitato il Paese in un modo assolutamente differente e ho quindi colto aspetti che precedentemente avevo soltanto intravisto. Per il resto vedo un Paese dove è sempre più forte il contrasto tra la modernità suggerita dall’esterno e le tradizioni per lo più imposte dalla religione. A Teheran ovviamente il contrasto è fortissimo, poi allontanandosi dalla capitale tende un po’ a prevalere l’aspetto tradizionale, ma i giovani sempre più istruiti sognano un futuro nuovo, e molti ambiscono ad andare a vivere negli Stati Uniti. Quando si chiede un parere su Israele è l’unico momento in cui si trova un’unanimità: è per tutti il paese nemico.
L’esperienza del couchsurfing (www.couchsurfing.org) è stata sicuramente eccellente e ha permesso di conoscere tanta gente e di stabilire significative conoscenze, inoltre si può presentare senza dubbio come una possibilità di fare un giro del mondo a basso prezzo e con tanti amici da conoscere giorno per giorno.
Il viaggio è cominciato con un pranzo e ovviamente finisce con una cena; a casa dell’ultima ospite chiacchierando in francese ci facciamo prima un classico tè all’inglese, o meglio un tè al cui interno mettiamo una specie di limone glassato e ricoperto di miele che lo rende eccellente, sennonché alla fine mi mangio anche il «limone». Per cena celo kebab e tante salse a base di yogurt che mangiamo insieme ad un favoloso misto di carne, pomodori e melanzane grigliate nel bellissimo giardino della villetta. Per chiudere due bei bicchieri di vino rosso che mi concilieranno il sonno durante le cinque ore di volo verso Roma. Un grazie di cuore ai nostri favolosi ospiti persiani
Il racconto è stato inizialmente pubblicato corredato da foto sul sito "Nave Corsara"
Link utili :
Metropolitana di Teheran
Couchsurfing
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ultimo aggiornamento 20/10/2021