11 Gennaio 2002 Partenza..., arrivo a Maquetia, notte a Macuto.
Finalmente ci siamo..., è il giorno della partenza per la nuova avventura. I preparativi ultimati solo ieri, mi hanno
tenuto sveglio sino alle 03.00, ma tanto non avrei dormito comunque, vista l'eccitazione e la tensione: è la prima
volta che vado oltre oceano. Alle 07.30, come programmato, arriva Michele, il mio compagno di viaggio; definirlo tale non
gli rende però il giusto merito, visto che lui è la "guida" ed io il suo compagno..., o forse sarebbe meglio
dire il suo bagaglio! In poco più di mezz'ora giungiamo a Malpensa, terminal 1, dove prima di congedarci dal gentile
Cesare, che ci ha condotto fin qui, incontriamo il Calcio Como al gran completo e Zucchero! Facciamo in modo veloce il
check-in e imbarcato il fido zaino, attendiamo che giunga il nostro turno al gate B 13: il volo AZ 666 dell'Alitalia ci
aspetta. Il costo del biglietto è stato un vero affare: euro 648,67 (Lit. 1.256.000) volo diretto Milano - Caracas,
tasse incluse, anche se ci ha vincolato al periodo 11/27 Gennaio. La partenza, prevista per le 10.05, slitta alle 10.30; la
giornata è bellissima, limpida e soleggiata e nel momento in cui il carrello si stacca da terra la nostra avventura
ha inizio. L'aereo è completo; non pensavo che così tante persone volassero in Venezuelam, il collegamento
dell'Alitalia è addirittura giornaliero! Dopo l'adrenalina del decollo, passo le prime due ore sonnecchiando; svanita
la tensione, sopraggiunge la stanchezza e una notte pressochè insonne si fa sentire. l pranzo, accolto un po' come
intermezzo, è triste, smunto e patetico, ma tutto sommato mangiabile. Poi un'altra oretta di sonno, due film e uno
snack, che più che scaccia-fame, è scaccia-noia! Ma quanto sono lunghe 11 ore di volo?
Finalmente, dopo il terzo film e la cena, alle 16.02, ora locale, in perfetto orario, giungiamo a Caracas. L'aeroporto non si
trova, però, nella capitale, ma sulla costa, in località Maquetia; per raggiungere Caracas è necessario
prendere un taxi oppure il bus. Sbarcati, il primo scoglio è passare la dogana. E' fondamentale armarsi di pazienza,
perchè qui si inizia a perdere tempo. Percorso quasi tutto il lungo corridoio dell'aeroporto, si giunge al posto di
polizia. Qui bisogna fare molta attenzione; ci sono quattro diverse file: per i venezuelani ed i residenti, per gli stranieri
(turisti), per i diplomatici e per gli equipaggi dei voli. Inseritevi subito e correttamente nella fila per i gate riservati
agli stranieri; se sbagliate, giunti al gate, non vi registreranno e vi manderanno a fare di nuovo la coda che vi compete.
Queste ultime sono estremamente lente; il motivo sta nel fatto che è necessario compilare un coupon con i propri dati
personali e il luogo in cui si è diretti per ottenere il visto di entrata. L'Alitalia fornisce tale documento prima
dell'atterraggio ai suoi passeggeri, ma averlo già pronto non evita la coda, visto che tutti gli altri o comunque
molti di essi ne sono sprovvisti e sono costretti a farlo al momento dell'esibizione del passaporto. Superata la dogana,
dopo 1 ora, e ritirato il bagaglio, prima di uscire dall'area arrivi, si deve consegnare, all'incaricato del controllo
bagagli, un secondo coupon. Quest'ultimo ha valore solo per i residenti, che devono dichiarare analiticamente tutti i beni
che introducono nello stato; per i turisti è, generalmente, solo un controllo formale: in pratica, vi consegna il
coupon e si passa! A questo punto si esce dalla zona "protetta" riservata ai soli viaggiatori e si entra nella parte
dell'aeroporto accessibile a chiunque; una "jungla" in cui non è affatto raro essere avvicinati da persone, ben
vestite che chiedono se si ha bisogno di un taxi: stare molto attenti ed essere diffidenti, anche se stanchi, è
d'obbligo. Per lasciare l'aeroporto si hanno tre possibilità: usufruire del servizio taxi ufficiale dell'aeroporto
stesso, uscire e prendere un taxi all'esterno, utilizzare i mezzi pubblici. Il servizio taxi dell'aeroporto è sicuro
ed efficiente, ma anche costoso; è facilmente individuabile dallo sportello giallo recante la dicitura "Ticketaxi" e
deve essere pagato anticipatamente in Bolivares.
Funziona in questo modo: si dice dove si vuole andare all'incaricato, che rilascia un biglietto con banda magnetica, pagando
l'importo della tratta, indifferentemente dal tempo necessario a percorrerla. Una volta pagato, si viene condotti
all'esterno dell'aeroporto e fatti accomodare su grandi jeep nere, belle, comode e nuove, che portano a destinazione. Se non
si hanno Bolivares, di fianco alla biglietteria dei taxi, guarda caso, c'è un ufficio di cambio. L'alternativa è
il taxi normale; per prenderlo basta uscire e fare cenno ad uno di quelli che si trovano all'esterno dell'aeroporto.
Attenzione però, perchè ce ne sono moltissimi abusivi! Quelli regolari e ufficiali sono bianchi ed hanno sulle
fiancate una banda rettangolare a quadri gialli e neri, nonchè la targhetta in metallo, come in Italia. Ultima
risorsa, infine, è il bus, che si ferma proprio di fronte all'ingresso del terminal internazionale; costa 2.500
Bolivares e conduce alla periferia di Caracas, terminando la corsa di fronte all'entrata della metropolitana "Gato Negro".
Siamo stanchi, sono ormai le 17.30 e decidiamo di non correre troppi rischi; cambiamo quindi 30 dollari in bolivares e
prendiamo un ticketaxi per Macuto, dove l'amico Massimo ci ha indicato un buon albergo dove alloggiare. Costo dello
spostamento, 9.000 bolivares. Il taxi lascia Maquetia e in 20 minuti siamo a Macuto, lungo la costa che nel 1999 fu
martoriata da un tremendo nubifragio. Il viaggio nella periferia di Caracas e poi lungo la costa, mi mostra un Venezuela
povero, sporco, fatiscente e apparentemente poco sicuro, ma alla fine del nostro viaggio questa rimarrà solo la mia
prima impressione. Ci facciamo portare all'Hotel Santiago, che mi sembra subito carino; prima di lasciare il tassista ci
accordiamo con lui per l'indomani prendendo appuntamento per le 08.30.
L'entrata dell'hotel è al quanto atipica; praticamente si entra nel bar/ristorante omonimo e dopo averlo oltrepassato,
alla fine di uno stretto corridoio, si giunge alla reception. Qui il mio primo giudizio dell'Hotel Santiago cambia: da
carino a "caro", visto che per una doppia, per una notte ci chiedono 46 dollari! Chiaramente accettiamo, anche perchè
ormai è l'imbrunire e prendiamo possesso della camera; quest'ultima si rivela dignitosa, pulita e sicura. Una doccia
rigeneratrice e via in perlustrazione. Praticamente siamo sul mare, ma non c'è spiaggia; tutta la costa, o almeno
quella che si vede, è delimitata da frangiflutti artificiali: la catastrofe di alcuni anni fa ha lasciato il segno.
La strada su cui si trova l'hotel è abbastanza trafficata e noto subito le strane, almeno per noi europei, autovetture
che circolano: sono enormi auto americane con battistrada larghissimi, oppure pick-up scassatissimi. Primo pensiero:
avvisare casa del nostro arrivo. Chiediamo dove poter acquistare una scheda telefonica e ci dicono che il supermercato le
vende; lo raggiungiamo velocemente, visto che si trova sulla prima strada a destra usciti dall'hotel e lì acquisto
una scheda telefonica da 3.000 bolivares, che rimarrà inutilizzata: i telefoni pubblici, infatti, non funzionano!
Decidiamo quindi di chiamare dall'hotel e per 45 secondi di comunicazione con l'Italia ci chiedono, ma sarebbe meglio dire
ci scippano, 3.000 bolivares! In seguito scopriremo che tale cifra è esorbitante, visto che utilizzando i telefoni
pubblici, un minuto di conversazione costa 545 bolivares. Paghiamo subito il nostro primo "dazio di inesperienza" e usciamo
nuovamente per cercare di mettere sotto i denti qualcosa. Ci dirigiamo verso sinistra e dopo qualche centinaio di metri
troviamo una birreria, dove prendo un'arepa con carne mechada (1.700 Bls.) e una polar (birra nazionale in bottiglia,
700 Bls.). Qui bisogna subito fare una digressione: in Venezuela le birre sono spesso in bottiglia, ma a differenza che in
Europa, la bottiglia e da 0,22 cc. e non da 0,33 cc.! Questo non significa che quest'ultima non ci sia, visto che esiste e
si chiama "tercio", ma raramente e solo se richiesta, viene servita; in caso contrario si riceve la "bottiglietta" da 0,22
cc., che in due sorsi e già finita! Il motivo di ciò non sono riuscito a capirlo, ma ho maturato una mia
congettura: probabilmente, visto il caldo, la bottiglia da 0,22 cc. consente di consumare la birra ancora fredda, evitando che il
contenuto, permanendo "troppo" tempo a temperatura ambiente si riscaldi.
La Polar è la birra più diffusa e potrete trovarla in queste diverse qualità:
- polarcita, bionda da 0,22 cc. a 5%;
- polar tercio, bionda da 0,33 cc. a 5%;
- polar light, bionda da 0,22 cc. a 4%;
- polar ice, bionda da 0,22 cc. a 4,5%.
La stessa marca produce anche un succo, commercializzato nelle stesse bottiglie della birra, che si chiama "Maltin";
assomiglia molto ad uno sciroppo di ciliegia e per me ha un gusto orripilante! Oltre alla Polar, si possono trovare altre
due marche di birra: la "Solera" e la "Brahma". Quest'ultima è brasiliana e si trova in due versioni, col vetro a
rendere e senza: la differenza non sta certo nel contenuto! Ci sediamo nei tavolini fronte strada a consumare la nostra cena,
che non è affatto male; l'arepa si rivela infatti molto gustosa ed essendo una frittella di mais, per intenderci
polenta fritta ripiena, sazia immediatamente. Dall'altra parte della strada c'è un locale dove fanno musica dal vivo,
ma fino al momento in cui lascio la birreria, non vedo nessuno entrarci. Prima di fare ritorno all'hotel acquisto una
bottiglia d'acqua da 1 litro e mezzo, per 800 bolivares; erroneamente pago con una banconota da 1.000, scambiandola con una
da 100, ma la cassiera, onestamente, me lo fa notare. Questa cosa, oltre che rallegrarmi, mi colpisce positivamente.
Giunti all'hotel scopriamo che il bar sottostante si è animato e riempito di persone, quindi ci sediamo al bancone e
prendiamo un'altra polar prima di andare in camera per la notte.
12 Gennaio 2002 Macuto, Caracas, Coro.
Dopo una notte tranquilla, lasciamo Macuto alle 07.00 del mattino direzione Caracas.
Per raggiungere la capitale decidiamo di utilizzare uno dei molti pulmini (buseta) che passano continuamente di fronte
all'hotel, rifilando quindi un bel bidone al tassista che ci ha condotto qui e con il quale ci eravamo accordati per farci
venire a prendere alle 08.30. La buseta non ha, in genere, fermate precostituite, basta mettersi sul ciglio della strada e
fare cenno con la mano; se non si ferma, c'è un'unica ragione: è piena! Tuttavia non bisogna preoccuparsi di
restare a piedi, visto che ce ne sono moltissime, si susseguono senza sosta e portano tutte a Caracas. Costo del viaggio:
700 bolivares, se avessimo preso il taxi avremmo speso molto, ma molto di più! La buseta segue la costa sino a
Maquetia, dopo prende verso sinistra in direzione dell'entroterra; in circa mezz'ora siamo a Caracas. L'impressione che ho
della città non è affatto positiva; sia la periferia, che il centro mi appaiono poveri, sporchi e squallidi.
Le case sono costruite ovunque si guardi e mi appaiono fatiscenti, spoglie e in molti casi scheletriche, soprattutto quando
il colore ocra dei mattoni che le costituiscono si contrappone al bianco di quelle più rifinite. Lentamente dalla
periferia ci avviciniamo al centro; si cominciano a vedere negozi, centri commerciali, caos, smog e traffico. Per un solo
istante mi sembra di non essere mai partito; poi il bellissimo clima presente, con i suoi trenta gradi tutto l'anno, fa
svanire questa sensazione. Le piccole case lasciano il posto ai grandi palazzi, che si spingono verso l'alto e per strada
c'è un brulicare incessante di persone. Un particolare, che noto subito, forse perchè non è così
usuale alle nostre latitudini, sono le inferiate e le sbarre anti-intrusione che preservano ogni finestra, porta, balcone di
qualsiasi edificio, sia a piano terra, che ai piani più alti; praticamente vivono in gabbie!
Onestamente mi aspettavo molto di più da questa metropoli, che, data la sua posizione, rappresenta il primo approdo
del Sud America; tuttavia una città con quasi 8 milioni di abitanti, in cui le etnie si mischiano e la povertà
di molti risalta ancora di più, quando si confronta con l'inusuale ricchezza di pochi, non può certo
rappresentare le tradizioni di un popolo e di un paese, che ha innumerevoli risorse e bellezze, naturali, culturali e umane.
Il vero Venezuela non è certo rappresentato dalla sua capitale.
Il viaggio termina al capolinea, che fortunatamente si trova di fronte alla fermata della metropolitana "Capitolio"; basta
attraversare la strada e scendere le scale. La metropolitana è molto bella, pulita, funzionale e sicura; mi ricorda
tantissimo quella di Milano, di cui sembra la copia. I treni sembrano nuovi, al loro interno sono puliti e dotati di aria
condizionata. Il biglietto ha costi differenti a seconda della zona in cui si è diretti; quest'ultima è
facilmente individuabile dalla cartina posta sul vetro della biglietteria. Ad ogni zona è attribuito un colore e ad
ogni colore corrisponde un diverso prezzo del biglietto. Il terminal dei pullman di Caracas si trova vicino alla fermata
"La bandera", che è nella zona gialla; costo del biglietto 350 bolivares. Fate attenzione a non perdere il biglietto,
perchè oltre ad assicurarvi l'accesso alla metropolitana, attraverso la sua introduzione negli appositi gate di
entrata, vi necessita anche per l'uscita, che è garantita dallo stesso sistema. In totale da "Capitolio" si devono
fare sette fermate, con un cambio di linea a "Plaza Venezuela". Di turisti in giro non mi sembra di vederne; con lo zaino in
metropolitana ci siamo solo io e Michele; in poco più di 15 minuti arriviamo a "La bandera". Usciti dalla
metropolitana è molto semplice raggiungere il terminal degli autobus, basta attraversare la strada e andare verso
sinistra; il terminal si trova infatti a circa 200 metri, sulla destra. Se non riuscite ad orientarvi, seguite le persone
con i bagagli; sicuramente sono dirette lì! Giunti al terminal, saliamo tre rampe, attorniati da molte persone che
offrono passaggi, taxi, biglietti per ogni destinazione e entriamo nella sala biglietteria, dove si trovano anche diversi
bar, telefoni e un posto bancomat funzionante. Anche qui veniamo "abbordati" da persone che ci chiedono dove siamo diretti e
ci spingono verso gli sportelli delle agenzie per cui lavorano; sicuramente ricevono una provvigione per ogni persona che
portano e compra il biglietto. Armarsi di pazienza è importante: prima di acquistare il biglietto chiedete a diverse
agenzie e scegliete quello per voi migliore. Ci sono infatti diversi tipi di pullman, dalla "buseta" a quello di linea
extralusso, con prezzi chiaramente crescenti. Scegliete in base al vostro budget e alla distanza da compiere: uno
spostamento breve non necessita della stessa comodità di uno pił lungo!
Visto che la nostra meta è Coro, posta ai margini della "Peninsula de Paraguanà", optiamo per un pullman di
linea a 5 stelle. Prezzo: 14.000 bolivares; 7 le ore di viaggio stimate. Scendiamo a piano terra e solo esibendo il
biglietto ci è possibile accedere alle piazzole dove sostano i pullman. Il nostro, della "Global Express", è
veramente molto bello, nuovo, con aria condizionata, vetri scuri, tv e sedili molto larghi tra loro, che grazie a comodi
schienali reclinabili quasi totalmente e a poggia-gambe, divengono quasi dei lettini; unici nei, la temperatura imposta
dall'aria condizionata, veramente bassa, che costringe a viaggiare col maglione e il ritardo fisiologico con cui parte.
Alle 10.30 lasciamo il terminal di Caracas, che sul muro porta scritto un monito di buon auspicio: "Dios los benediga en
este viaje". Il viaggio dura poco più di 8 ore; alle 18.45 arriviamo infatti a Coro.
Approfitto subito dei telefoni pubblici della stazione degli autobus per chiamare in Italia e prendo tranquillamente la linea: mamma
risponde, Cinzia "non è raggiungibile...". Noto subito con gran piacere che il costo della chiamata è nella
norma; per un minuto di conversazione si spende infatti intorno ai 600 bolivares. Prendiamo un taxi e ci facciamo portare
alla "Posada el gallo", che purtroppo non ha camere disponibili; vista da fuori, però sembra molto carina e
accogliente. Chiediamo quindi al tassista di portarci all'Hotel Martin, che risulta anch'esso pieno! Di fianco c'è
l'Hotel Roma, che ha una doppia con bagno disponibile a 8.000 bolivares a notte; purtroppo l'aspetto non è per nulla
buono e decidiamo di cercare altrove. Andiamo così alla ricerca dell'Hotel Capri, che dovrebbe essere in zona, ma di
cui non troviamo traccia e finiamo per prendere una camera all'Hotel Intercaribe (ex Hotel Venezia), un tre stelle con la
reception ben curata, piscina e camere in stile Motel americano con posto macchina interno. La camera è bella, con tv
e aria condizionata; il costo un po' salato: 25.000 bolivares a notte. Inoltre non accettano i travel cheques e sono
costretto a pagare con la carta di credito, visto che in tutta Coro non c'è un posto bancomat da cui si riesca a
prelevare. La sera usciamo e percorriamo verso destra la strada su cui si trova l'Hotel; è una via molto ampia e
trafficata, ci sono diversi negozi e locali e sino alle 19.30 anche parecchia gente in giro. Problemi di sicurezza non ce ne
sono, o almeno non li noto, visto che anche le ragazze girano da sole, ma sui locali stendiamo un velo pietoso. Verso le
20.00 tutto comincia a chiudere, la gente svanisce e di colpo ci troviamo da soli o quasi; resta soltanto il traffico. I
pochi chioschi aperti che incontriamo non ci ispirano più di tanto e finiamo a mangiare nel fast-food di fronte al
nostro hotel, una sorta di rosticceria/panetteria, dove ceniamo con un pasticho tutt'altro che delicato per il palato.
Mentre sono seduto a consumare la mia cena, sorseggiando una coca, visto che il fast-food di cui sopra non vende birra,
noto la vigilanza del locale; una sorta di Clint Eastwood di colore, in divisa bianca con in mano una pistola a canna mozza!
Per me è una presenza quanto meno poco rassicurante, ma per tutti gli altri credo sia una figura che rientra nella
normalità, visto che nessuno si scompone. Se questa è la vigilanza, chissà cosa saranno mai i ladri!
Comunque è indiscutibile che le inferiate alle finestre, le sbarre a tutti i locali commerciali, le guardie armate
all'interno degli stessi, creano un'atmosfera poco tranquilla, almeno per il turista, anche se poi non accade nulla, che
giustifichi tale ansia.
13 Gennaio 2002 Adicora e Los Medanos
Sveglia di buon mattino per la prima escursione al mare del nostro viaggio; meta stabilita Adicora, posta all'imbocco della
penisola di Paragua. Raggiungiamo a piedi la stazione degli autobus di Coro, fermandoci per una veloce colazione con un
cachito e un "cafè negro", che solo per aspetto ricorda il nostro espresso. In dieci minuti di cammino siamo al
terminal, da dove, utilizzando un telefono pubblico, telefono a Cinzia, che finalmente riesco a trovare. Per accedere alla
zona da cui partono i pullman è necessario pagare 100 bolivares; il biglietto per lo spostamento si fa invece
direttamente sul mezzo che si deve prendere. Dopo una breve attesa, arriva il nostro bus; saliamo e prendiamo posto. Prima
di partire la persona che riscuote i biglietti, passa con un foglio su cui tutti annotano nome, cognome e numero del
documento di identità; sembra una prassi normale, visto che tutti, tranne me e Michele, sanno il numero del loro
documento a memoria. Alle 09.20 il bus lascia il terminal di Coro e si dirige verso Adicora per raggiungere la quale
dovremmo percorrere la strada che si sviluppa lungo uno stretto istmo di sabbia, che lega la penisola di Paragua al
continente. Il viaggio dura circa 1 ora ed il paesaggio appare surreale; all'inizio, infatti, subito dopo essere entrati nel
parco naturale della Paragua, sulla destra vediamo le famose dune di sabbia, una sorta di mini deserto, che ha dello
straordinario.
L'istmo è invece una delusione, soprattutto per le montagne di rifiuti che vi si trovano; praticamente è una
discarica a cielo aperto e ciò è veramente un peccato, visto il forte impatto visivo che potrebbe dare. Quando
manca poco a raggiungere Adicora, il bigliettaio passa a riscuotere il prezzo del biglietto. Pago io per me e Michele, in
modo da cambiare i 5.000 bolivares che mi ritrovo, ma non ricevo resto! Ingenuamente penso che me lo darà una volta
giunti a destinazione, anche perchè 2.500 bolivares a testa appaiono uno sproposito; tuttavia per evitare spiacevoli
inconvenienti Michele chiede ad un'altro passeggero quanto costa il biglietto: risposta, 1.000 bolivares! Giunti ad Adicora,
chiedo il resto e correttamente ricevo 3.000 bolivares, ma se non l'avessi fatto, li avrei "persi", dato che il bigliettaio
non avrebbe preso alcuna iniziativa in tal senso; in sostanza "ci ha provato"! Il pullman ci lascia direttamente sulla
spiaggia; questa si sviluppa lungo una baia abbastanza ampia delimitata da un un marciapiede su cui si affacciano ristoranti,
locali e negozi. La sabbia è di colore beige, non molto larga e dotata di gazebo e sedie; c'è molta gente, ma
ciò dipende dal fatto che è domenica. Percorriamo tutto il lungo mare e ci posizioniamo all'estremità
opposta da cui siamo arrivati. L'acqua non è il massimo, pulita, ma non limpida; il mare è leggermente mosso
e la temperatura dell'acqua tiepida e piacevole, soprattutto dopo un po' che si sta al sole. Ci sono pochissime palme e solo
nella parte iniziale della spiaggia, quella più larga; indubbiamente non è la spiaggia caraibica che mi
aspettavo di trovare e non nascondo che un po' rimango deluso, ma poi penso a che giorno è, al freddo che ho lasciato
a casa e tutto assume un aspetto diverso. Adicora non è il paradiso che si immagina, quando si pensa alle spiagge
dell'America del Sud, ma anche lei ha il suo fascino. C'è una leggera brezza, che rende il caldo meno opprimente, ma
verso le 13.30 il sole comincia a farsi sentire e anche i venezuelani, che il sabato e la domenica affollano le spiagge,
sono tutti all'ombra a sorseggiare un cuba libre. Anche noi decidiamo di porre fine alla nostra prima esposizione al sole,
in modo da evitare scomode scottature e facciamo un giro nel paesino. Quest'ultimo è molto caratteristico con le sue
case basse in stile coloniale olandese, dipinte con vivaci colori pastello. La fame si fa sentire, così ci fermiamo a
mangiare alla "Posada la Carantona"; è molto carina, pulita e la sala da pranzo ben curata nei particolari. Prendiamo
un pargo, ottimo pesce di colore rosato, che ci viene servito alla griglia con contorno di patate fritte e insalata; è
ottimo e abbondante e con quattro birre, spendiamo in totale 8.910 bolivares in due. Quando usciamo il caldo è
opprimente, quindi ripercorriamo a ritroso il lungomare e andiamo a riprendere il bus per tornare a Coro; la nostra
intenzione è quella di vedere le famose dune, "los medanos", che sono l'attrattiva maggiore del Parco Nazionale di
Coro, patrimonio dell'umanità.
Giunti a Coro, ci facciamo lasciare all'incrocio prima del terminal, dove c'è un grande distributore della BP; qui
sulla strada perpendicolare a quella da cui siamo venuti, aspettiamo la "buseta", contrassegnata dalla scritta "carabobo",
che porta al Parco Nazionale. Dopo pochi minuti eccone una; un gesto con la mano per richiedere la fermata e saliamo a bordo.
Il viaggio dura poco più di cinque minuti e ci costa 250 bolivares. Scesi a destinazione, è necessario
percorrere 500 metri a piedi lungo il viale che introduce al parco, quindi dopo una piccola piazza, di fronte a noi vediamo
l'entrata del parco. Percorriamo nella sabbia un sentiero in salita e superata una piccola collinetta, quello che vedo ha
dell'incredibile; di fronte a me c'è il deserto! Dune altissime di sabbia si susseguono a vista d'occhio. Il parco ha
un'estensione di 92.000 are e sembra veramente di stare nel Sahara; è impressionante, alle mie spalle la più
lussureggiante fauna tropicale, di fronte a me, aride dune di sabbia.
14 Gennaio 2002 Coro, Chichiriviche
La mattina, prima di lasciare l'hotel, ci rechiamo in banca per cambiare i travel cheques in bolivares. Questa operazione si
rivelerà più difficile del previsto; l'unica banca che offre questo servizio a Coro è infatti la
"Corp Banca". C'è molta gente e siamo costretti a fare la fila anche noi come tutti; le operazioni sono lentissime e
mi sembra che la burocrazia assomigli molto a quella italiana. Michele inoltre non si sente bene e l'aria condizionata della
banca non gli giova di sicuro. Finalmente arriva il nostro turno, ma purtroppo la procedura per la conversione dei travel
cheques è lunghissima; prima di tutto ci chiedono i passaporti, poi richiedono l'autorizzazione via telefono
all'operazione comunicando il numero dei travel cheques, quindi quando sembra che tutto sia a posto, ci fotografano con una
sorta di macchina fotografica fissa che consente di immortalare, oltre al viso di colui che fa l'operazione, anche il
passaporto e i documenti per l'operazione bancaria. A questo punto mi aspetto di ricevere i bolivares, ma invece mi danno un
biglietto con un numero e mi dicono di andare alla cassa; qui la coda è ancora più lunga e comincio a perdere
la pazienza.
Fortunatamente è il cassiere a chiamarci, ma le sorprese non sono finite; prima di consegnarci i soldi, ci fa infatti
apporre l'impronta digitale del pollice su tutte e tre le copie dei documenti bancari, che descrivono l'operazione. Mai
vista una cosa del genere e tutto per 100.000 bolivares, ovvero 150 euro! Dopo un'ora siamo riusciti a cambiare! Torniamo in
hotel, lasciamo la stanza e prendiamo un taxi per raggiungere il terminal; costo dello spostamento, 1.000 bolivares.
Chiediamo qual'è il primo autobus che porta a Sanare, dove dobbiamo cambiare mezzo per raggiungere Chichiriviche. Ce
ne indicano uno in partenza; saliamo senza chiedere il costo del biglietto e di ciò ci pentiremo in seguito! L'autobus
è quasi pieno e come sempre l'aria condizionata è a temperatura glaciale; prendiamo posto e dopo poco che
siamo in viaggio, come prassi, passa l'incaricato per incassare i soldi del biglietto. Ci chiede 15.000 bolivares; lo
guardiamo tra lo sbigottito e l'incredulo, poi Michele trova la forza di dire: "no, è troppo !". A questo punto ce ne
chiede 5.000 a testa; sono sempre troppi, ma li paghiamo. In seguito scopriamo, che al massimo il nostro viaggio poteva
costare 3.000 bolivares! Purtroppo l'errore l'abbiamo fatto noi a non chiedere prima e arrabbiarsi dopo è un'inutile
spreco di energie nervose; chiedere quanto costa, deve sempre essere la prima preoccupazione, perchè dopo i margini
di contrattazione saranno ridottissimi. In circa due ore giungiamo a Sanare; scesi attraversiamo la strada e aspettiamo la
buseta per Chichiriviche, che non tarda ad arrivare. Anche su questa ci provano chiedendoci 1.000 bolivares; ne paghiamo
800, ma sono comunque uno sproposito, visto che ai venezuelani vedo pagare 250: probabilmente non è giornata!
Chichiriviche si trova all'interno del Parco Nazionale di Morrocoy, caratterizzato da una grande laguna e da numerose
isolette raggiungibili con le barche. La strada che porta in città attraversa perpendicolarmente la laguna nella
quale scorgo durante il viaggio grossi stormi di fenicotteri rosa. In circa mezz'ora siamo a Chichiriviche. Il piccolo
centro è in ristrutturazione; la strada principale che porta al porto è infatti in costruzione, a prova che il
turismo è ormai una costante di questo luogo. Proprio di fronte allo spiazzo (chiamarlo terminal è un po'
azzardato!) dove si fermano i bus ci sono due posade, ma non le consideriamo per niente, anche se dal giardino due signore
si sbracciano per suscitare la nostra attenzione. La nostra prima scelta, dettata dalla consultazione della guida, è
la posada gestita da una coppia di italiani. Purtroppo non riusciamo ad orientarci e per qualche minuto rimaniamo spaesati a
guardarci intorno; poi Michele, chiede informazioni e non senza fatica riusciamo a scovare la posada in una delle vie
interne, parallele alla strada principale. Troviamo la posada, ma non l'alloggio! Proseguiamo in cerca di un'altro hotel e
ci imbattiamo nell'Hotel Caribana, che Michele si ricorda di aver visto su internet. L'aspetto è molto bello e per
curiosità chiediamo quanto costa una doppia; risposta: 20.000 bilivares a notte. Saliamo a vedere la camera, che, pur
se piccolina, risulta essere molto carina, curata e ben pulita; dotata di Tv via cavo e aria condizionata. Decidiamo di
prenderla, un po' per stanchezza, un po' per poca voglia di girare a cercare altri alloggi; inoltre Michele non si sente
troppo in forma e tutto sommato non costa poi così tanto, visto l'ottima qualità offerta. Il tempo di fare una
doccia, che come sempre si trasforma in una sorta di pozione rigeneratrice, e di scoprire che la tv via cavo prende anche
RAI International e usciamo alla scoperta della piccola Chichiriviche.
Il centro è in espansione; probabilmente tra qualche anno sarà molto più turistico e organizzato di
quanto i miei occhi non lo vedano oggi. Percorriamo per una ventina di metri la strada di fronte all'Hotel Caribana e
raggiungiamo la via principale (quella in costruzione); proprio all'incrocio ci sono dei telefoni con i quali si riesce
perfettamente a parlare con l'Italia. Giriamo a sinistra e scendiamo verso il mare giungendo sino al molo; sui lati della
piccola strada ci sono, bar, ristoranti, hotel, e negozi. Qui mi sembra che la gente sia più abituata alla presenza
dei turisti e si sia organizzata per massimizzare il profitto della loro presenza. Dal molo si vedono i quattro isolotti
più vicini: Cajo Muerto, proprio di fronte; Cajo Sal sulla sinistra; Cajo Perazo sulla destra alle spalle di Cajo
Muerto e infine il piccolo e deserto Cajo Pelon sempre sulla destra, ma di fianco a Cajo Muerto. Non sono visibili i più
lontani Cajo Borracho e Cajo Sombrero, che dovrebbero essere i più belli; anche gli altri però, seppur dal
molo, mi sembrano molto caratteristici e invitanti. Il neo di Chichiriviche è che non ha spiaggia; la sua fortuna
sono i cajos, raggiungibili facilmente con le barche. Chiaramente ogni spostamento ha un differente costo e la tariffa
esposta al molo reca questi prezzi, chiaramente e necessariamente trattabili: - Cajo Muerto, 10.000 bolivares; - Cajo Sal,
10.000 bolivares; - Cajo Perazo, 15.000 bolivares; - Cajo Borracho, 25.000 bolivares; - Cajo Sombrero, 35.000 bolivares.
Il costo, chiaramente, si riferisce alla singola lancia, che può portare al massimo 8 persone; di conseguenza, più
si è, meno si spende! Dopo aver scattato qualche foto ci accomodiamo ai tavolini di un ristorante di fronte al molo,
a sinistra della pescheria "El Caney del Mar"; qui prendiamo una birra e una pizza, che risulta dignitosa. Michele non perde
occasione per far pratica con lo spagnolo e in men che non si dica conosciamo il titolare del locale, Enrique Martinez,
persona squisita e molto educata e il cameriere Weinar, simpatico e amichevole. Da loro ricaviamo molte informazioni utili,
conferme e qualche dritta per poterci muovere, non solo a Chichiriviche, ma anche nel prosequio del nostro viaggio. La sera
ceniamo in un ristorantino nel vicolo che porta al molo; io prendo un'arepa con cazon (squalo giovane), che risulta essere
molto saporita, Michele a causa dei suoi disturbi, si deve invece accontentare di una zuppa di pesce, di cui non resta molto
soddisfatto. Dopo cena ritorniamo dal nostro "amico" Enrique con l'intenzione di prendere un caffè espresso;
purtroppo ci dice che non lo fa, ma ci offre una tazzina di quello americano.