Eccoci ancora pronti a partire con i nostri "bagagli": i soliti due zainetti-bagaglio a mano. Questa volta
abbiamo in più due biciclette da portare in viaggio con noi, montate e impacchettate per farle rientrare nelle
dimensioni richieste dal bagaglio ordinario. In Bhutan non esistono mountain-bike. Per organizzare il nostro viaggio ci
sono voluti mesi di preparativi e di allenamento. Abbiamo dovuto pensare a tutto quello che poteva servirci nel
tragitto, considerando che avremmo avuto poco aiuto nel caso di imprevisti. Altra grande difficoltà è stata
convincere i bhutanesi a lasciare a noi l'organizzazione dell'itinerario, completamente fuori da ogni loro schema.
Il nostro progetto è quello di viaggiare in bicicletta, dormire in abitazioni locali e stare a contatto con la
gente del posto. Tutte cose difficili da capire per un bhutanese; i 4000 turisti annui che visitano il Bhutan sono per lo
più ricchi, anziani e si spostano in comitive soggiornando in hotel di lusso.
22/02. Siamo partiti da Venezia alle 6:45 e via Zurigo arriviamo a Delhi il 23 alle 00:10.
Avevamo letto sulla guida Lonely Planet che: "l'arrivo a Delhi è un vero e proprio assalto ai cinque sensi,
che intimidisce tutti quelli che giungono in questa città ..." Siamo dunque preparati al peggio. Prima di
buttarci nella mischia controlliamo che tutto sia al suo posto: carte di credito, passaporti e contanti opportunamente
"coraggiosamente" usciamo, pronti a dribblare tra la folla per evitare il temuto attacco... Invece, sarà
perché siamo fortunati o che siamo abituati a viaggiare in Asia, l'aeroporto della capitale ci sembra come tanti altri,
anzi, con meno procacciatori d'affari del solito. Dopo poco più di 10 minuti siamo fuori dall'aeroporto, dopo aver
recuperato le nostre bici ed aver spiegato ai doganieri perplessi qual'è il nostro progetto. Ci è venuto a
prendere un taxista che ci ha portato all'hotel Namaskar. Il traffico per la città è ancora molto intenso,
nonostante sia oramai mezzanotte passata e con le bici legate in qualche modo nel bagagliaio posteriore del taxi, arriviamo
in hotel verso le due. La stanza che scegliamo è ovviamente la "suite de luxe", per 400Rs (8 Euro): almeno questa ha
delle finestre, un bagno con un microlavandino impraticabile e acqua calda a secchi. Dalla strada arrivano per tutta la
notte i soliti latrati dei cani randagi e rumori di ogni genere.
23/02. Sveglia alle 8:00.
Il proprietario dell'hotel appena ci vede tenta, come previsto, di proporci il tour del
Rajasthan, 15 giorni tutto compreso oppure un tour in cammello nel deserto e ci fa vedere album di foto con turisti
dall'aria soddisfatta. Non serve a nulla dirgli che vogliamo andare in Sikkim e che abbiamo già i voli prenotati.
Ci vuole almeno mezzora per scrollarselo di dosso, anche se sappiamo che al nostro rientro ricomincerà a proporci
altri itinerari. Finalmente fuori in strada! Siamo nel centro di Delhi, nel quartiere di Paharganj. E' presto, i negozi sono
ancora chiusi e regna una calma apparente, lungo la strada solo mucche sacre. E' domenica e preferiamo visitare i monumenti
della città, perciò contrattiamo per salire su un autorisciò che ci porta alla moschea di Jama Masjid.
Questa moschea è la più grande di Delhi e la più importante della zona, qua i musulmani pregano il
venerdì riempiendo il grande cortile dell'edificio. Sempre in autorisciò andiamo a visitare il complesso del
Qutb Minar, 15 km a sud della capitale, esempio di architettura afghana dove domina la torre alta 73 metri e la prima
moschea costruita in India. Lungo la strada ci siamo fermati al Gandhi Memorial e al Parlamento. Rientriamo nel nostro
quartiere che nel frattempo ha cambiato completamente aspetto: i negozi hanno aperto e in ogni angolo ci sono
"venditori di tutto", guide improvvisate, risciò a pedali e a motore che dribblando cercano di evitare la
folla che riempie le strade, formando un autentico groviglio umano. Abbiamo fatto bene a lasciare, per ora, le bici in
camera. Anche qui come in Nepal per sopravvivere al traffico sono necessarie tre cose: un buon clacson, buoni freni, e
... buona fortuna. Le mucche sono le uniche che camminano tranquille, non curanti degli sforzi fatti per evitare di
investirle. Moto, risciò, biciclette e mezzi di ogni genere si incrociano strombazzando per segnalare la propria
presenza. Per riuscire a sopravvivere, dopo l'impatto iniziale, ci vuole un po' di tempo. Quando si cammina, l'importante
è seguire il flusso, evitando movimenti bruschi e fermate improvvise. Se si vuole attraversare una strada è
buona regola imitare gli altri. Le immondizie della strada vengono continuamente spostate dai lati al centro per essere poi
riportate nuovamente davanti ai negozi al passaggio del traffico.
24/02. Giornata dedicata alla visita di Old Delhi, dove andiamo a piedi partendo dal nostro hotel. La città vecchia
si estende in un groviglio di viuzze a ovest del Red Fort. La via principale è Chandni Chowk da cui partono infinite
stradine piene di negozi di ogni genere, suddivise in zone a seconda della merce venduta. I gusti, gli odori e l'atmosfera
che si respira sono sicuramente un' esperienza indimenticabile. In qualunque momento della giornata c'è chi fa
bollire, friggere o arrostire qualcosa da mangiare per attirare i passanti. Le strade sono vive, piene di gente e di musica.
E' quasi inutile cercare di orientarsi ed è naturale perdersi, attirati dalla varietà delle merci in vendita,
compresi i barbieri, i pulisciorecchie, calzolai e dentisti che in strada espongono e "riparano" denti e dentiere.
25/02. Affittata una macchina con autista andiamo a visitare Agra, a 204 km da Delhi e circa 4-5 ore di macchina. Evitato il
proprietario dell' hotel, usciamo quasi furtivamente in strada alle 6 del mattino, non riusciamo invece ad evitare un altro
venditore di tour del Rajasthan che a tutti i costi vuole farci salire sul suo autobus. Dopo più di mezz'ora arriva
finalmente il nostro autista che non smentisce la consuetudine asiatica di considerare il tempo come qualcosa di poco
importante. Visitiamo il Taj Mahal, mausoleo Moghul che viene descritto come il più stravagante monumento eretto per
amore e divenuto il simbolo turistico dell'India. Sotto l'enorme cupola si trova la tomba della seconda moglie
dell'imperatore, il quale fece erigere questo monumento in marmo bianco finemente lavorato per ricordare la propria amata
prematuramente scomparsa. La visita continua con il Forte di Agra, costruzione di arenaria rossa del 16 secolo, prima
struttura militare, poi palazzo e infine prigione dell'imperatore.
26/02. Non senza un certo coraggio, attraversiamo da soli una trafficata strada del centro di Delhi e assaliti da guide
improvvisate e venditori di biglietti aerei, riusciamo ad arrivare indenni a Connaught Place, vasta rotatoria delimitata da
una serie di edifici che rappresenta il centro commerciale della città. La nostra intenzione è quella di
visitare l'emporio di stato e i vari mercatini. Non riusciamo però ad evitare, anche se consapevoli del pericolo, un
lustrascarpe che, con una azione fulminea, riesce a lanciare sulle nostre scarpe della cacca per poi innocentemente proporsi
per pulirle. Quando dietro di noi ci sentiamo dire :"Sir, you have something on the shoes" è oramai
troppo tardi, la scarpa è coperta di merda. Pensiamo che sia meglio mandarlo via e pulirci in qualche modo,
altrimenti altri potrebbero seguire il suo esempio; con le scarpe troppo pulite siamo un vistoso obiettivo per altri lanci.
Comunque, cacca a parte, ormai ci siamo abituati e ci muoviamo quasi tranquillamente in mezzo alla gente evitando senza
troppe difficoltà i venditori e i procacciatori d'affari. Ci troviamo a nostro agio in questo disordine che ci sembra
quasi normale.
27/02. Alle 7.30 con un taxi prepagato e con le bici legate in qualche modo sul portapacchi arriviamo all'aeroporto
terminal 1 voli domestici. Non c'è modo di evitare i facchini improvvisati che si impossessano velocemente dei
bagagli e che tu voglia o no ti accompagnano al check-in. Il volo parte in orario alle 10:10, la compagnia aerea è la
ottima Jetairways (avevamo già preso i biglietti in Italia con disappunto del proprietario dell'hotel che tra le
altre cose possiede un ticketing-office). Arriviamo a Bagdogra alle 12.05 e ci viene a prendere Luis (Bhutan Tourism
Services) che ci accompagnerà nel nostro viaggio in Sikkim. Ci accoglie con un "Namaste" regalandoci
due sciarpe tibetane di benvenuto (di cui ormai abbiamo una discreta collezione) e ci sentiamo già a nostro agio.
Luis è una persona con una grande cultura e conosce (cosa abbastanza rara da queste parti) molte cose del nostro
paese. Con il suo aiuto riusciremo finalmente a capire qualcosa di più del buddismo e della sua complessa filosofia.
All'aeroporto riempiono il nostro passaporto di timbri e timbrini (alla fine del viaggio avremo consumato 5 pagine). Gli
indiani hanno una passione per la burocrazia, per le carte e per le ricevute; non perdono mai occasione per compilare moduli
che nessuno leggerà mai e che non servono assolutamente a niente. In jeep partiamo per Ganktok capitale del Sikkim,
110 Km in circa 5 ore. Il Sikkim, regione a statuto autonomo dell'India, è stato indipendente fino al 1975. Per
entrare in Sikkim è necessario un permesso (facile da ottenere) in cui vanno indicate tutte le tappe del viaggio.
Prima di arrivare al confine attraversiamo una parte del West-Bengala, regione che rappresenta esattamente l'idea nostra
dell'India. La strada è una sottile striscia d'asfalto con due fasce sterrate ai lati; camion che strombazzano e
gente che corre indaffarata. Tutti trasportano tutto, dalla legna alle banane e spingono ogni sorta di carretti nel solito
disordine. Le donne si notano per i loro colorati sari, al contrario degli uomini che portano camicie di tipo occidentale
abbinate a quello che capita. Al check-point di confine tra West-Bengala e Sikkim ci aspettano altri moduli da compilare e
altri timbri. La strada è sconnessa, a strapiombo e da brivido, specie quando si incrociano i camion che guidano come
dei matti e più di una volta rischiamo l'incidente. Durante la stagione dei monsoni che inizia in maggio, le strade
franano e nel periodo secco vengono ricostruite ogni anno. Poi la neve nei mesi successivi fa il resto. Il Sikkim è
molto diverso dall'India vera e propria, più simile a certe parti del Nepal e ha come religione principale il
buddismo. Il confine con il Nepal è vicinissimo (70 Km) e ci sono moltissimi emigrati, tanto che la lingua principale
è proprio il nepalese. Ci sono anche molti profughi tibetani e campi di rifugiati in tutto il paese. La tentazione di
attraversare il confine per raggiungere Kathmandu è forte; il nostro amico Ram ci ha invitati molte volte ma sappiamo
che la situazione nel paese non è ancora sicura e poi non abbiamo tempo.
Gangtok, la capitale del Sikkim, non
è un gran che: è costituita da un groviglio di palazzoni costruiti senza un piano regolatore. Ci sistemiamo in
hotel (Hotel Anola) che è completamente vuoto, in città non ci sono altri turisti. Questa perfetta solitudine
ci accompagnerà per tutto il viaggio in Sikkim, con hotel e ristoranti aperti solo per noi. Facciamo un giro per
Gangtok e notiamo che i negozianti non sono stranamente interessati a noi, riusciamo a camminare senza difficoltà,
senza che nessuno ci fermi per venderci o proporci qualcosa. Luis ci spiega che il Sikkim è molto ricco grazie alle
grandi sovvenzioni statali e quindi il livello di vita medio è buono rispetto ai paesi confinanti. Mangiamo nel
ristorante dell' hotel che ha aperto per noi ed è completamente al buio fino al nostro arrivo. Ci presentano un
menù ricchissimo per poi scoprire che, come è logico dal momento che siamo gli unici avventori, hanno solo
due o tre cose: riso, riso con verdure, riso con carne e chapati. L'attesa è infinita, come sempre in India, e per
pagare siamo costretti ad aspettare a lungo perché il proprietario deve preparare una ricevuta e non ha il resto.
Risaliti in camera montiamo le bici (3 ore) e dato che l'hotel è vuoto danno una camera gratis anche alle bici.
28/02. Oggi iniziamo il nostro viaggio in bici. Con partenza alle 8:00 andiamo al monastero di Rumtek, residenza del
Karmapa, capo dell'ordine dei berretti neri. Il complesso monastico è la copia del monastero tibetano di Tsurphu che
abbiamo visitato l'anno scorso in Tibet. A differenza di quello che potrebbe sembrare c'è una forte lotta per la
successione tra i vari ordini religiosi e all'interno dello stesso ordine; l'attuale karmapa da molti viene considerato un
impostore. La reincarnazione precedente è infatti morta nel 1981 in circostanze misteriose e ha lasciato un
testamento che forse è stato contraffatto. Alcuni soldati circondano il monastero per controllare la situazione.
Il 3 di marzo ci sarà il capodanno tibetano, il Losar, e fervono i preparativi. Ovunque ci sono monaci in preghiera
e all'interno del monastero sono presenti doni di ogni genere. Lungo la strada i bambini ci vengono incontro incuriositi
dalle bici e la gente è meravigliata: ci sentiamo osservati come se fossimo degli UFO! E pensare che, per non
spaventare troppo i locali, abbiamo cercato di evitare l'abbigliamento appariscente, anche se comodo, che normalmente usano
i ciclisti, rinunciando anche al casco. Le uniche cose che abbiamo deciso di portarci sono i guanti e i pantaloncini
protettivi. Lasciato il monastero visitiamo il Namgyal Institute Of Tibetology, centro di cultura tibetana e il monastero
Do-Drul Gompa, sulla collina sopra Gangtok. Qui abbiamo la fortuna di incontrare la 12a reincarnazione del Guru Rimpoche
(fondatore del Tibet e del Bhutan) che è in visita al monastero. Siamo però impuri e per assistere alla sua
cerimonia dobbiamo aspettare la benedizione. Ci versano in mano del liquido giallo (cosa sarà??) che con la mano
destra dobbiamo passarci sulla fronte e sulla testa (in realtà dovremmo berlo ma non è il caso!!).
Inizia la celebrazione: i primi 10 minuti sono anche piacevoli e interessanti ma poi tutto si ripete sempre uguale, almeno
per noi. Cerchiamo di trovare il modo di uscire (in tutto durerà 5 ore) senza offendere i presenti. Finalmente
fuori! Di nuovo in sella per il monastero Enchey Gompa, posto su una collina vicino a Gangtok e la scuola professionale.
Il governo paga il corso di studi di 3 anni ai bambini scolasticamente poco dotati e dà un contributo di 800 rupie
(16 euro) alle famiglie che hanno un figlio a scuola. In questo modo si evita che i genitori mandino a lavorare nei campi
i figli senza farli studiare.
01/03 Ore 8:00 si parte per il Phodong Monastery, 40 Km a nord di Gangtok. Arrivati al monastero i monaci ci invitano a
mangiare con loro riso e interiora e siamo costretti ad accettare per non offenderli; nel piatto anche pezzi del sacco di
iuta, sassolini ed altre cose non identificate. Proseguiamo per 4 Km fino al monastero di Labrang dove troviamo molti
monaci-bambini che ci chiedono palle da cricket. Il cricket (sport di cui non conosciamo neanche le regole) è lo
sport nazionale indiano, retaggio della colonizzazione inglese. Il tifo è simile al quello per il calcio in Italia.
Tra l'altro in questi giorni ci sono i campionati mondiali di cricket in Sudafrica e l'India ha vinto la semifinale (si
festeggia con canti e fuochi d'artificio: impossibile addormentarsi, o meglio lui ha dormito come un sasso e lei è
rimasta sveglia tutta la notte). Al rientro facciamo una breve deviazione per il Phensong Monastery dove troviamo i monaci
in festa per i preparativi del capodanno tibetano. Sono tutti molto cordiali e felici di vederci.
02/03. Ore 6:00 partenza per Pemayangtse, 112 Km in circa 10 ore. Visita del Pemayangtse Monastery. Arriviamo che è
ormai sera a Pelling, paese costituito solo da hotel (tipo Nagarkot in Nepal). Da qui si ha una splendida vista sul
Kangchendzonga, terza vetta più alta del mondo (8598 mt). Troviamo il solito hotel vuoto (Hotel Norbughang) e ci
accolgono con le sciarpette di benvenuto. Visitiamo anche il poverissimo monastero di Sangachoeling, situato in una collina
sopra il paese. Anche qui i monasteri sopravvivono grazie alle offerte dei fedeli e in particolare delle donazioni fatte
dagli occidentali. Di conseguenza da una parte alcuni edifici religiosi, frequentati magari da Madonna e Richard Gere,
vengono continuamente restaurati, e dall'altra altri edifici più antichi e belli come questo di Sangachoeling cadono
in rovina. Dopo cena e usando una torcia cerchiamo di fare un giro per il paese, ma è troppo buio e rischiamo di
perderci. Decidiamo quindi di rientrare in Hotel.
03/03. Capodanno tibetano.
Sveglia alle 5.30 per vedere il sorgere del sole sul Kangchendzonga, anche se siamo piuttosto
pessimisti dopo l'esperienza di Nagarkot in Nepal, e invece stranamente il cielo è sereno e la vista è
piuttosto buona. Proseguiamo per Yoksum passando per Khecheopari Lake. Lungo la strada incontriamo sempre molti bambini i
quali fanno a gara per salire sulla bici e Marco ha il suo da fare per accontentare tutti. La gente ci saluta e rimaniamo
senza fiato a forza di rispondere con "Hallo" e "Namaste". L'ideale sarebbe correre senza mani sul
manubrio per poter rispondere ai continui saluti congiungendo le mani. Una signora però si spaventa e scappa urlando
terrorizzata dalla nostra presenza, tanto che ci dobbiamo allontanare in fretta. Il lago sacro di Khecheopari è
circondato da bandiere di preghiera ed è molto suggestivo. Nel tardo pomeriggio arriviamo a Yoksum che è
stata la prima capitale del Sikkim, dove il primo re venne consacrato nel 1641 D.C. da 3 Lama illuminati. Dormiamo
nell'Hotel Tashigang, un grandissimo e vuoto edificio sulla sommità della collina di Yoksum. Poche case e uno
splendido panorama sul Kangchendzonga. Ci dicono che nei boschi dietro al villaggio vive addirittura lo Yeti. Di sera ci
offrono la birra tibetana (chang) in contenitori naturali fatti di legno con una cannuccia di bambù più alta
di noi e berla diventa davvero difficile, soprattutto per Silvia che ha la cannuccia più alta. Oltretutto il
cameriere è imbranatissimo e ci rovescia il tè addosso.
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ultimo aggiornamento 19/10/2021