Verso Helsinki
Sono io il primo ad alzarsi dal letto, alle sei e tre quarti, anticipando di
sue soli minuti il suono della sveglia. Ormai ho sviluppato una sorta di
orologio biologico tarato sulle frequenze del viaggio, che mi fa spesso
ridestare all'ora giusta senza quasi bisogno di puntare alcuna sveglia. Una
velocissima colazione ancora una volta gratuita, per poi riprendere sulle
spalle gli zaini, sempre più carichi di biglietti timbrati e scontrini dei
negozi, tutti accuratamente conservati per non perdere nemmeno un pezzettino
di ricordi e testimonianze. Scendiamo per l'ultima volta dalla collina, con
il peso degli zaini che involontariamente ci fa accelerare sempre di più
l'andatura, costringendoci a rallentare volontariamente per non sfracellarci
gli alluci dentro le scarpe. Io sono fermamente intenzionato a fare
l'autostop alla prima automobile di passaggio, ma passano solo poche auto
nel verso opposto, così ci tocca anche stavolta farci tutta la strada a
piedi. Il nostro treno, giunto pochi minuti dopo l'arrivo in stazione, è
munito di una carrozza a due piani in cui si trovano i nostri posti
prenotati: scopriamo solo una volta a bordo che ci toccano i posti adiacenti
all'area attrezzata per i bambini, dai piccoli ai piccolissimi. Risultato:
cinque ore di viaggio tra urla, risatine, pianti inconsolabili, versi e
sbrodolii, madri disperate che non sanno più come far stare zitti i loro
pargoli, e ovviamente noi due che dobbiamo sopportare tutto.
Non scendiamo direttamente alla stazione centrale di Helsinki, bensì alla
fermata prima: il nostro albergo, un po' fuori zona, si trova proprio in
corrispondenza della penultima sosta. Nella stazione in cui arriviamo ci
sono indicazioni per ogni luogo meno che per dove dobbiamo andare noi, e
come se non bastasse i bigliettai non parlano inglese, o almeno così
affermano vivacemente, parlando guarda caso in inglese. Dopo qualche
insistenza otteniamo almeno un qualche genere di indicazione per l'albergo:
ci rispondono indicando sbrigativamente una direzione col dito. Camminando
in quella direzione finiamo in uno strano quartiere, fatto di
sopraelevazioni di cemento intervallate da sprazzi di verde, in cui si
alternano enormi edifici commerciali e più modeste palazzine residenziali,
ed anche una biblioteca per soddisfare la voglia di lettura del popolo con
il più alto tasso di libri e quotidiani letti nell'intera Europa. Dopo un
po' di peregrinazioni e di informazioni chieste ai passanti, giungiamo al
nostro mastodontico residence, in una zona decisamente periferica.
L'albergo delle meraviglie
L'albergo è decisamente un'oasi nel deserto rispetto agli ostelli in cui
siamo abituati ad alloggiare: lussuoso, pulitissimo, decorato in ogni modo
possibile. E dire che è il più economico della zona. Veniamo trattati con
gentilezza estrema dalla bionda receptionist, che ci illustra ogni singolo
dettaglio di funzionamento dell'hotel. La nostra camera, all'ottavo piano, è
stratosferica. Tanto per dare un'idea, è munita di comodità esagerate come
lo stirapantaloni (!), un intero servizio di bicchieri, frigobar con tutti i
generi possibili ed immaginabili di superalcolici a prezzi ovviamente
esagerati, televisione con visualizzati il messaggio di benvenuto "Dear Mr
Davide" e le istruzioni per informarsi sulle funzioni e servizi alberghieri,
il ferro e l'asse da stiro, una presa per il modem addirittura allungabile,
asciugacapelli, bustine di cappuccino già pronte da miscelare con l'acqua
fatta bollire direttamente in camera con la macchinetta apposita, luci che
si accendono e si spengono automaticamente inserendo la carta magnetica
nella fessura, e tantissimo altro ancora. Il tutto a poco più di quaranta
euro a notte. Paragonato agli alberghi italiani, che per la stessa cifra
offrono un terzo di tutto ciò, è lo specchio di una nazione veramente ricca
ed evoluta, attenta alla qualità dei servizi per i suo cittadini.
Helsinki
La capitale della Finlandia è una città famosa per le sue molteplici
influenze culturali e la sua variegatezza. Si parlano indifferentemente due
lingue ufficiali eppur così dissimili, il finlandese e lo svedese, e si
notano chiaramente le influenze russe, data la grande vicinanza col
territorio sovietico e la lunga storia di conflitti e collaborazioni che li
accomuna. Appena usciti dall'affollata stazione centrale vediamo subito una
città molto animata, mille volte più di Oslo: c'è gente di ogni nazionalità,
edifici di ogni tipo di architettura, generalmente non molto elevati e di
forma squadrata. Il sistema di trasporti pubblici e di regolamentazione del
traffico è ottimo: Helsinki è tralaltro l'unica città finlandese dotata di
metropolitane e tram. Dopo una breve sosta ad un fast food la nostra prima
tappa è il conosciuto Kauppatori, il mercato del pesce all'aperto. Passiamo
solo davanti alle sue bancarelle arancione brillante, promettendoci di
rivisitarlo in seguito: prima che chiuda vogliamo vedere la famosa chiesa
luterana, il cosiddetto Duomo di Helsinki situato in piazza del Senato,
accoppiato alla statua di Alessandro II di Russia che si staglia fiero in
mezzo alla piazza sul suo cavallo anch'esso di pietra. La chiesa è
sopraelevata e domina tutta la città, con l'interminabile scalinata su cui
siedono costantemente orde informi di turisti, l'enorme cupola centrale, le
pareti bianchissime sia all'esterno che all'interno, così perfettamente
levigate e candide da sembrare di ghiaccio. È la prima chiesa totalmente
priva di affreschi che vedo: ha indubbiamente il suo fascino, è veramente
imponente. La zona è invasa dai visitatori, italiani in primis, per cui ci
spostiamo presto in un'altra area più tranquilla per ammirare una vera e
propria meraviglia di architettura e gusto artistico: la Uspenskin
Katedraali, chiesa ortodossa dall'inconfondibile stile russo. Ha le murate
rossastre e le classicissime cupole d'oro a cipolla: due di esse sono nuove
e brillano decisamente più delle altre. Magnifica all'esterno e soprattutto
all'interno: riusciamo ad entrare per miracolo, giusto un minuto prima della
chiusura. Abbiamo fatto bene a sbrigarci subito con il tour delle chiese!
Ammiriamo tutti i quadri che tappezzano la parete, anch'essi riccamente
decorati e dorati, e finiamo con uno sguardo fugace rivolto all'altissima
cupola, in parte coperta da uno sfarzosissimo lampadario dalle mille
candele.
Riprendendo a girare per le vie del centro ci viene l'idea di comprarci
qualcosa di alcolico, per festeggiare degnamente almeno una serata con una
buona bottiglia: l'idea è subito accolta, ma dobbiamo stare attenti a come
fare. Anche in Finlandia gli alcolici non sono ben visti dallo Stato, e si
vendono solo in negozi appositi, nonostante ciò non riduca di molto il
problema dell'alcolismo anche qui molto sentito. Veniamo a conoscenza di un
negozio di alcolici non molto lontano da dove ci troviamo, e lo puntiamo
speditamente: l'età necessaria l'abbiamo superata, dunque non ci sono
problemi. Nel negozio sono probabilmente presenti tutti i tipi di alcolici
esistenti al mondo: i vini provengono da ogni angolo del pianeta, si arriva
perfino all'Australia. Ovviamente, i vini italiani sono presenti in gran
numero. Individuo quasi subito una solitaria bottiglia di vermouth rosso a
buon mercato, appoggiata su un angolino di uno scaffale e coperta da un
leggerissimo velo di polvere, a testimoniare il tempo che ha passato lì
senza che nessuno la prendesse in considerazione. Insisto per comprarla,
snobbando il ben più gustoso ma costosissimo Martini che campeggia in bella
vista poco più sopra, perfettamente pulito. La scelta è compiuta:
l'impolverato ma onesto vermouth sarà il nostro festeggiamento della serata,
quando torneremo all'ovile.
Sotto la pioggia che inizia a cadere leggera arriviamo ad un imponente
chiesa tedesca, purtroppo chiusa. E' un vizio dei nordici quello di aprire
le chiese solo per pochissime ore al giorno, non riusciamo veramente a
capire il perchè. Un po' scornati proseguiamo arrivando ad un'altra chiesa
(sono veramente tante qui!), stavolta dedicata a San Giovanni: ricorda un
po' Notre Dame di Parigi per le sue due torri identiche sulla parte
frontale, anche se queste sono molto più alte di quelle della cugina
francese. Dopo questa meraviglia tocca ancora ad un'altra chiesetta luterana
dall'altra parte della città, con la particolarità di essere completamente
incastonata nella roccia: dopo una lunghissima camminata per raggiungerla,
fortunatamente la troviamo ancora aperta. La roccia forma un cerchio tutto
attorno alle panche e all'altare, con l'organo incastrato in un'altura sulla
sinistra. Il tetto ramato è sostenuto da dei fitti piloni di acciaio su
tutta la circonferenza, con un effetto di contrasto tra l'antico e il
moderno davvero sorprendente. Il sacerdote, con il suo lungo abito talare
verde, sta celebrando messa ad un discreto numero di persone: ascoltiamo per
un po' il prete finlandese mentre declama i passi del Vangelo nella sua
lingua così incomprensibile, poi ritorniamo sui nostri passi fino
all'albergo.
Il vermouth
Soddisfatti dalla giornata molto produttiva, escogitiamo ogni sistema
possibile per rendere speciale la pantofolaia serata in albergo: in un lampo
di genio cerchiamo di connettere il lettore Mp3 alla televisione, sperando
nella loro compatibilità, ma purtroppo le prese non combaciano. Così
ripieghiamo mettendo gli auricolari a volume massimo e incollandoli con lo
scotch agli angoli della televisione, rivolti verso di noi e verso l'alto
per sentire il più possibile la musica. Apriamo la bottiglia soddisfatti,
vuotandola lentamente bicchierino dopo bicchierino, in allegria. I momenti
più divertenti si hanno quando Davide fa una capriola sul letto e io gli
intimo di smetterla di fare quei "trabaglioni", parola completamente senza
senso, ancora oggi non so assolutamente cosa avessi voluto dire. Altro
momento da risate assicurate è quando tento di versare altro vermouth nel
bicchiere, inclinando sempre di più la bottiglia fino quasi a metterla in
verticale, col vino che non ne vuole sapere di uscire, finchè mi accorgo che
non ho tolto il tappo. Dopo qualche discorso inconcludente ci addormentiamo
entrambi, cotti dall'etanolo. Io crollo per primo, mentre Davide mi segue a
ruota dopo pochi minuti, dormendo fino alle quattro di mattina con la pancia
all'aria ancora scoperta, fino a quando finalmente la vescica troppo tesa lo
costringe a svegliarsi e ad accorgersi non solo di aver preso freddo per
ore, ma anche di essersi dimenticato tutte le luci accese.
Helsinki
Un po' rimbambiti ed assonnati, con la schiena indolenzita dai morbidissimi
letti d'albergo tanto invitanti quanto dannosi per la colonna vertebrale,
ritardiamo la colazione per riprenderci un po' dagli effetti dell'alcol.
Approfittiamo comunque di quanto ci viene offerto dal generoso buffet: ci
sono perfino le uova e il bacon per qualche eventuale inglese in vacanza,
cibarie che ovviamente noi rifuggiamo con tutte le nostre forze. Ci
accontentiamo di qualche croissant con caffelatte. Tornati ad Helsinki con
il solito treno, la prima attrazione del giorno è il museo di arte moderna.
Dentro non c'è granchè: i soliti panni sporchi stesi e venduti come opere
d'arte, forme bizzarre o quadri monocromatici, lattine di colore
tremendamente arrugginite ed ammassate tutte assieme a simboleggiare il
lavoro dell'artista. La classica frase che viene da pensare quando si
assiste a tali opere è "Ma queste potrei farle anch'io, anzi meglio di
loro!", e nonostante quello che dicano gli esperti in materia sui
significati nascosti che celano, sono convinto che sia la pura e semplice
verità. Ma questa è solo una mia considerazione personale: certe opere sono
anche affascinanti, a volte inquietanti. Una su tutte il video di un gruppo
di bambini, probabilmente in qualche zona dell'Est europeo devastata dalla
guerra, che prendono letteralmente a mazzate una vecchia automobile,
trasformata in giocattolo da sfascio in mezzo alla strada. I genitori
assistono a metà tra il divertito e l'indifferente, fino all'arrivo della
polizia che mette fine al "gioco". Tuttora non so se il video fosse
autentico o meno.
Decisamente più ricco ed interessante il secondo museo, dedicato alla storia
di Helsinki e della Finlandia in generale, dalla preistoria fino ai giorni
nostri: dai chopper scheggiati dell'età della pietra alle sfavillanti cotte
di maglia medioevali, fino alle coloratissime e ormai dismesse markke
finlandesi, la valuta abbandonata da qualche anno in favore dell'euro ed
ormai esposta nei musei come una rarità. Terminata la lunghissima visita,
puntiamo il mercato del pesce che il giorno precedente abbiamo saltato.
Affacciato direttamente sul Golfo di Finlandia, è il vero centro nevralgico
della città: nelle vicinanze si trovano quasi tutti gli attracchi per i
battelli che visitano le isolette circostanti, molto numerose e ricche di
interessanti attrazioni turistiche. Una pista ciclabile l'attraversa
completamente, nelle intersezioni ci sono i soliti semaforini e addirittura
vediamo un comico cartello di pericolo recante due bici che si stanno per
scontrare, invitando i ciclisti a rallentare nel punto di intersezione tra
le due corsie. Nelle bancarelle si vende ogni tipo di cibaria e souvenir,
tra cui gli ottimi kalakukko: li compriamo subito, senza sapere che sono un
cibo tipico finlandese, attratti solo dal loro ottimo aspetto. Si tratta di
squisiti panini di segale imbottiti di salmone e verdure miste, da servire
caldi o freddi a seconda dei gusti del consumatore, e che ci sbafiamo con
enorme soddisfazione dal primo all'ultimo boccone, sotto le tende arancioni
che ci riparano da un solleone veramente noioso. Dopo aver consumato
numerosi pranzi e cene in ristoranti indegni di questo nome che servono cibo
molto poco sano, questo è un piacevole diversivo. Terminata la parentesi
cibarie, ci prepariamo per la visita alla storica isola di Suomenlinna, a
pochi minuti di traghetto da dove ci troviamo: è un arcipelago di sei
isolette, ed è anch'essa protetta dall'Unesco ed inserita nei Patrimoni
dell'umanità. Nelle isole sono presenti molte attrazioni come la fortezza e
il sottomarino della seconda guerra mondiale, ora trasformato in attrazione
turistica. Al nostro arrivo non troviamo orde di turisti, c'è un vento
freddo e un'aria di pioggia che si sta inesorabilmente preparando a cadere.
Camminando lungo le strade ghiaiose e ciottolate circondate da mura,
sbuchiamo in un campo da calcio vuoto con tanto di pallone dove ci
divertiamo a suon di improbabili tiri liberi, ma dopo poco ci stanchiamo ed
iniziamo la visita vera e propria. A poca distanza infatti c'è il museo
principale dell'isolotto, dedicato alla fortezza. Una volta scoperto però
che pagando una cospicua cifra per entrare avremmo solo visto un video che
illustra tutta la storia dell'isola, optiamo per visitarla di nostra
iniziativa. Lungo le stradine ciottolate si respira l'atmosfera delle guerre
del Settecento, quando la Svezia, onde evitare di subire l'ondata
dell'espansionismo russo, mise in mezzo la Finlandia a fare da tappo,
fortificando pesantemente l'isola. I bastioni sono ormai ricoperti in gran
parte d'erba, che la ripara quasi completamente dagli sguardi provenienti
dal cielo, rendendo la fortezza quasi indistinguibile dalla vegetazione. In
centro svetta fiera ed altissima la bandiera finlandese, come a
simboleggiare l'eterna indipendenza rivendicata da questo piccolo e
coraggioso Stato.
Il sottomarino
L'attrazione più interessante che vediamo a Suomenlinna è però il vecchio
sottomarino, l'unico rimasto della flotta finlandese dai tempi della guerra.
Esternamente è verniciato di rosso e bianco, un po' sbiadito dai suoi anni
di servizio sott'acqua. E' completamente emerso ed incastrato in modo
apparentemente precario su degli scogli costieri, che reggono in pochi punti
quasi tutto il suo peso. Con due euro ci guadagniamo una visita in questo
minuscolo ambiente vitale che ai tempi scendeva chilometri sott'acqua, tra
la paura dei marinai che potevano da un momento all'altro vedere
quell'angusto barattolo di lamiera riempirsi d'acqua e fiamme dopo una
silurata. L'interno è stupefacente: la poca luce artificiale non permette di
vedere nel dettaglio tutti i particolari, ma ciò che si vede è già
sufficiente per capire di trovarsi in un miracolo di ingegneria. Ogni
centimetro quadrato di parete è percorso da tubi di acciaio e manometri
pressori che si intersecano in un labirinto intricatissimo. Il passaggio
centrale è così stretto da far fatica a passarci, nonostante siamo
praticamente gli unici visitatori del momento e superiamo di poco i cento
chili in due. Un'estremità, che non saprei dire se sia l'anteriore o la
posteriore, ospita i vecchi siluri. I marinai non potevano vedere i siluri
nemici che puntavano spediti contro il proprio sottomarino: potevano solo
sentirne i boati, sperando di essere stati mancati. In caso contrario,
sarebbero stati guai grossi. Le cuccette dei marinai, ormai senza materassi
né coperte, sono anch'esse terribilmente anguste: non v'è nemmeno lo spazio
per girarsi, paiono di una scomodità unica. Ringrazio chi di dovere di non
essere nato in quegli anni di insensata e sanguinosa guerra.
Doppio arcobaleno
Usciti con molta difficoltà dal portellone posteriore aperto solo a metà e
quasi inamovibile, ci troviamo sotto una pioggia intermittente ed
estremamente fastidiosa, peggiorata dal vento che la fa scorrere
praticamente di lato. Il battello senza tetto ci riporta indietro verso la
terraferma, mentre fortunatamente spunta un accenno di sole. Vediamo durante
la traversata alcune isolette di pochissimi metri quadrati con una sola
casetta al centro, tutte munite del proprio personale attracco per le
barche. Ci fanno sorridere: chi mai vivrà in quel fazzoletto di terra in
mezzo al mare, che sembra quasi una di quelle isole microscopiche con
l'unica palma da cocco centrale tipicamente associate ai naufraghi da
messaggio in bottiglia? Mentre ci immaginiamo le possibili risposte,
attracchiamo e ricominciamo i nostri giri, trovandoci di fronte ad un
fenomeno eccezionale: un doppio arcobaleno sullo sfondo della chiesa
ortodossa: il primo prepotentemente visibile, il secondo tenue ed appena
accennato. Entrambi formano un arco sopra le bellissime guglie d'oro. Piove
con il sole che splende, è un momento davvero particolare che ancora una
volta ci fa sentire fieri di essere lì. Approfittiamo della schiarita per
riposarci un po' seduti di fronte al porto: osserviamo attentamente le navi
attraccate con i ristoranti all'aperto sui ponti, le grosse gomene tutte
avvolte attorno alle bitte per evitare che i battelli scappino via sospinti
dalla continua brezza, e in lontananza le enormi navi da crociera, mosse
dalle loro centinaia di resistenti motori diesel che le sospingeranno lungo
i mari per giorni interi. Recuperate sufficientemente le forze dopo la
stancante giornata, ripassiamo nella piazza del Senato per raggiungere la
stazione centrale, intercettando un'esibizione di canto con centinaia di
persone in piedi sulle scale, ognuna col suo leggìo. Dopo averle ascoltate
per un po', insieme a tutti i turisti che affollano la piazza e si sono
fermati come noi per assistere allo spettacolo, riprendiamo la via
dell'albergo, dove troviamo un'altra sorpresa: i nostri vestiti, lasciati
stropicciati e ammassati irregolarmente sui letti anch'essi sfatti, sono ora
perfettamente stirati e piegati sui letti di nuovo perfettamente lindi e
dalle lenzuola assolutamente prive della più piccola grinza. Un servizio
decisamente diverso a quello a cui siamo abituati da qualche settimana, e
che rischia di viziarci un po' troppo! Un bel bagno nella spaziosa vasca per
eliminare tutta la sporcizia e la stanchezza residua, e poi subito tra le
braccia di Morfeo, preparandoci all'ultimo giorno da passare nella capitale.
Animali
Questa volta la sveglia suona un po' più tardi, non avendo scadenze precise
da rispettare la mattina, così possiamo dormire un po' più del solito. I
dolori al rachide dovuti all'eccessiva morbidezza dei materassi sono ancora
presenti, lievemente attenuati. Liberi dai tormenti alcolici, possiamo
finalmente permetterci una pantagruelica colazione, in cui torniamo a
riempire il piatto più e più volte con qualsiasi cibaria presente sui
tavoli. Il caffè viene erogato dalle macchinette in quantità esagerata per
come siamo abituati a casa nostra: qui la porzione per una persona è
l'equivalente di una moka da tre! Ne butto via gran parte per poterlo
diluire, con la cameriera che si stupisce del mio gesto: sembra che non
riesca a credere che si possa buttare via del caffè, ma mi lascia fare senza
obiettare. Una volta rimpinzati così tanto da far fatica ad alzarsi dalla
sedia, barcolliamo lentamente verso la camera per recuperare tutto il
necessario per la giornata. Questa mattinata la passeremo allo zoo su
un'altra isoletta vicina a Suomenlinna. Un legnoso battello percorre in poco
più di un quarto d'ora il tratto di mare che ci separa dagli animali. Il
controllore vende i biglietti direttamente sul traghetto, di vario colore a
seconda della fascia di età, comprendenti traversata e ingresso. Il mare è
discretamente calmo, la giornata soleggiata, promette molto bene.
Un timido scoiattolo che corre qua e là velocissimo in preda all'agitazione
ci dà il benvenuto sulla stradina che conduce alle gabbie dei grandi felini.
Il leone è in siesta pomeridiana, così come la tigre, che a malapena apre
gli occhi sentendoci arrivare, ancora pesantemente assonnata. I ghepardi
sono un po' più attivi ma si muovono in modo artefatto, ripetendo gli stessi
movimenti ossessivamente, probabilmente molto sofferenti per la loro
condizione di prigionia. Un simpatico gatto selvatico sta dormendo
appollaiato in cima ad un albero, con l'espressione beata che hanno tutti i
gatti durante il sonno. Ce n'è per tutti i gusti: le alci con le loro
ramificate corna, i cammelli dal morso e dallo sputo facile, le povere
gazzelle costrette in poche decine di metri quadri di spazio, dove non
possono certamente correre alla velocità di cui sono capaci nella savana. I
canguri con le loro zampette anteriori così corte che usano solo per
raccogliere il cibo, e la loro buffa andatura saltellante. Gli emù, grossi
uccelli molto simili agli struzzi ma dal piumaggio molto più scuro, che ci
guardano con un'espressione bellicosa. I vanitosi pavoni, in stato di
sorprendente semilibertà, che davanti a noi non si degnano di mostrare la
variopinta ruota, riservata unicamente ad impressionare gli esemplari
femminili. Gli scortesi lama, notoriamente di carattere difficile, che
scappano non appena ci vedono arrivare. Gli enormi bisonti, dal peso che può
raggiungere la tonnellata, intenti a masticare tranquillamente la loro
paglia. Particolarmente divertente il branco di babbuini dal sedere rosso e
prominente, estremamente agili nell'arrampicarsi su qualsiasi appiglio
trovino. Il loro urlo è lancinante e stridente, a volte iniziano tutti
insieme a gridare senza alcun apparente motivo, fracassandoci i timpani. Uno
degli animali si porta dietro un pezzo di legno per minuti e minuti credendo
di aver trovato un tesoro, per poi lanciarlo a terra spezzandolo. Rimaniamo
a guardarli per diverso tempo, fino a quando la porticina metallica si apre
permettendo ai babbuini di entrare nella giungla artificiale, dove amano
darsi la caccia gridando come ossessi e rotolando sulle reti appositamente
studiate per le loro acrobazie. All'interno degli edifici, in grosse gabbie
di vetro, troviamo gli animali amazzonici ed africani: gli orribili scarabei
ammassati a centinaia, grossi come una noce se non di più, che farebbero
scappare terrorizzato anche il più coraggioso degli esploratori. I serpenti
boa, in grado di stritolare un uomo in pochi secondi, ma fortunatamente
inoffensivi e anche piuttosto pigri dietro i vetri. Poi una serie
innumerevole di animali marini, ragni, crostacei ed echinodermi, ma
purtroppo non c'è più tempo e dobbiamo scappare a prendere il traghetto per
il ritorno.
La nave
Un plotone di fotografi, che ci salutano mostrando tutti e trentadue i denti
in un sorriso radioso, ci invitano a farci fotografare poco prima di salire.
Impossibile rifiutare, dato che hanno messo le macchine fotografiche in
posizione strategica; probabilmente tutto ciò serve ad avere un qualcosa di
identificativo nel caso qualcuno si perda o abbia dei problemi di qualche
genere. Due pagliacci ed un trampoliere vestiti nei modi più strani ci
accolgono calorosamente, e finalmente riusciamo ad accedere al settimo
piano, quello dell'imbarco. Subito ci guardiamo intorno increduli di ciò che
vediamo da ogni lato: centri commerciali mastodontici, l'insegna di un
casinò in fondo al corridoio, degli ascensori con la parete trasparente in
cui vediamo le persone salire e scendere da ogni dove. Per la gioia degli
amanti del gioco d'azzardo, c'è una quantità smisurata di videopoker e
macchinette ripiene di monetine in bilico sul bordo magnetizzato e protetto
dall' Intelligent Crash, che cadranno solamente quando verranno spinte da
sufficienti altre monete inserite una dopo l'altra da chi pensa di essere
abbastanza abile e fortunato. Un ottimo modo per perdere i propri soldi!
Mentre camminiamo, un mimo vestito di bianco e nero luccicante e con la
faccia pittata degli stessi colori intercetta la camminata di Davide,
piazzandosi dietro di lui e seguendo ogni suo movimento, in modo insistente
e piuttosto irritante. Il nostro eroe per un po' fa finta di niente sperando
che il buffo personaggio molli la presa, ma non sembra proprio che se ne
voglia andare.finchè riesce a liberarsene simulando un impatto contro una
ringhiera e piegandosi in due, da cui il mimo per seguire quella posizione
creerebbe situazioni imbarazzanti! Congratulandosi per la trovata, l'amico
IT finalmente lo lascia in pace e va ad importunare qualcun altro. La nostra
cabina è al quinto piano, il più basso a cui si trovino le cuccette: si
trova in fondo ad un dedalo inestricabile di corridoi tutti uguali in cui si
rischia seriamente di perdersi, ma almeno le indicazioni sono chiare e la
troviamo velocemente. E' un buco claustrofobico, ovviamente senza finestre,
con due letti a castello e pochissimo spazio vitale, ma ci accontentiamo
volentieri. Sempre meglio che dover dormire sul ponte come avremmo dovuto
fare se avessimo scelto l'altra compagnia, tralaltro pagando addirittura di
più.
Un australiano dai spiccati lineamenti orientali entra con noi, rivelando di
essere il nostro compagno di stanza: è molto discreto e non dà mai fastidio,
così come noi non ne diamo a lui. Non vogliamo rimanere troppo a lungo in
quel container claustrofobico, la nave è troppo grande e piena di sorprese
per non essere esplorata da cima a fondo. Il settimo piano è dotato di ogni
comodità possibile e immaginabile: c'è perfino un negozio "tax free" in cui
non si paga l'IVA sui prodotti, istituito apposta per i turisti. Sugli
scaffali troviamo delle bottiglie di vodka da due litri fatte pagare come
quelle da 70 centilitri, pacchetti di caramelle come minimo da mezzo chilo
l'uno, fino a dei terrificanti chupa chups giganti da 180 grammi,
praticamente delle clave. Sembra la fiera dell'esagerazione, praticamente
non esistono confezioni medie o piccole, solo enormi. Le sorprese non
finiscono qui: sulla nave ci sono anche uffici di cambio soldi, negozi di
vestiti d'alta moda, ristoranti costosissimi. Sembra di essere finiti su una
crociera di lusso. Ad un certo punto delle nostre peregrinazioni notiamo una
bacheca sulla quale sono appese tutte le foto che ci sono state fatte alla
partenza: troviamo anche le nostre! Le preleviamo subito senza chiederci se
siano a pagamento o meno, vedendo che così fan tutti. Il piatto forte però
arriva soltanto alla sera: non possiamo certo perderci una serata al casinò
che campeggia in bella vista in fondo al corridoio con la sua grossa insegna
luccicante.
Gioco d'azzardo
Il notevole fascino del gioco d'azzardo fa sì che sia molto difficile
smettere di giocare una volta iniziato: di venti centesimi in venti
centesimi, alla coloratissima macchinetta del videopoker, ci promettiamo
ogni volta un tetto massimo di spesa oltre il quale non andare. Tale tetto
viene però ridefinito continuamente, schiacciato dall'eccitazione e dalla
voglia di rischiare di più. Ci rendiamo conto di quanto sia pericoloso
lasciarsi tentare da questo tipo di giochi, se già con pochi centesimi di
euro è difficile darsi un freno. Avendo conosciuto personalmente gente che
si è rovinata col gioco d'azzardo, l'effetto che mi fa è ancora più forte.
Dall'altra parte della sala, due croupier stanno decidendo le sorti di
accaniti giocatori, in gran parte giapponesi, al black jack e alla roulette.
Le loro dita sciolte manipolano abilmente le carte distribuite una alla
volta e lentamente scoperte sotto gli occhi ansiosi di chi ha puntato. I
soldi giocati vengono fatti sparire, talvolta per sempre, inghiottiti in
apposite buche nel tavolo verde. La pallina lanciata senza sbavature in
direzione contraria al senso di rotazione della roulette decreterà presto se
i portafogli dei giocatori si alleggeriranno o appesantiranno a fine serata,
in un tiro della sorte completamente imprevedibile e per questo estremamente
tentatore. Banconote da dieci, venti, cinquanta euro passano continuamente
sotto il nostro naso fin nelle mani dei croupier, dall'espressione di
ghiaccio e completamente indifferente a tutto quel movimento di soldi e a
quella febbre del gioco. È affascinante guardare queste scene di tensione
silente, che talvolta esplode in contenuti gesti di stizza e di rammarico
per le centinaia di euro appena buttate via, e talvolta scatena gioiosi
abbracci per le cospicue vincite ottenute. Nessuno purtroppo sta giocando al
poker con le vere carte, spettacolo a cui assisteremmo molto volentieri, da
cui torniamo ad aggirarci nei dintorni delle macchinette in cerca
d'avventura. Un videopoker vuoto da qualche minuto attira la nostra
attenzione: ha un bottone rosso lucente, che normalmente è spento.
Schiacciamo il pulsante, solo per curiosità, e magicamente scendono cinque
monete da un euro. Ci guardiamo increduli: com'è possibile che le abbiano
lasciate lì? Le prendiamo mettendole in tasca senza dare nell'occhio e
passiamo alla macchinetta successiva, anche lei col pulsante di ritorno del
credito stranamente illuminato: altri tre euro guadagnati senza sforzo. Da
quel momento in poi non facciamo altro che aggirarci come avvoltoi tra le
slot machine, cercando qualche monetina dimenticata da poter puntare.
Approfittiamo di quell'insperata vincita per giocarcene una parte,
stabilendo però un tetto massimo invalicabile da non superare per nessun
motivo, stavolta rispettato. A volte puntando venti centesimi, altre volte
quaranta, si perdono un po' di soldi e poi se ne riguadagnano il triplo, per
poi perderne il quadruplo. Un andatura altalenante che ogni volta che sembra
stia per finire in realtà ricomincia in modo del tutto inaspettato, vincendo
cinque volte tanto dopo che l'ultima monetina utile è stata puntata. Come
prevedibile, in finale perdiamo tutto quello che abbiamo deciso di puntare,
ma riusciamo ancora a recuperare altri due o tre euro, lasciati direttamente
nel piatto metallico sotto le macchine da qualche distratto utente che si è
dimenticato di riprendersi i suoi spiccioli.
La mezzanotte è ormai passata da un po' e si vedono le prime scene di palese
ubriachezza: un finlandese piuttosto pingue, con i capelli biondi a
spazzola, sta dormendo beatamente a sghimbescio sulla sua sedia, con il
bicchiere di Bailey's ancora pieno fino all'orlo. Il suo compagno sta
tentando inutilmente di svegliarlo battendo sempre più forte col bicchiere
sul tavolo, senza però darsi troppa pena per il fallimento della missione.
Il ragazzone viene poi svegliato in qualche modo da altri finlandesi che
scuotendolo e incitandolo riescono perlomeno a farlo rimettere seduto
dritto, ma non vorrei essere tra quelli che poi tenteranno di farlo alzare.
Altri individui poco raccomandabili cominciano ad aggirarsi nei dintorni, da
cui vista anche l'ora tarda decidiamo di uscire dal casinò e tornarcene in
cuccetta. All'entrata dei nostri corridoi vediamo un altro finlandese
collassato sul fondo delle scale, completamente ubriaco, poi un altro in
piedi con la faccia rossa come un peperone e l'espressione stranita che ci
fissa dall'imboccatura del nostro corridoio. Prudentemente deviamo per la
strada più lunga, per evitare di passargli davanti. Riusciamo a raggiungere
la nostra camera senza essere aggrediti da ubriachi vaganti, la banda
magnetica fa un po' di bizze prima di consentirci di entrare, ma alla fine
pulendola bene con i fazzoletti la tessera fa il suo dovere e siamo
finalmente al sicuro.
Stoccolma
E' impossibile capire che ore siano, se non uscendo dalla cabina o avendo
sottomano un orologio: la totale assenza di finestre è un po' fuorviante,
potrebbero tranquillamente essere le quattro di mattina come le due di
pomeriggio e non ce ne accorgeremmo ugualmente. In piena notte mi sveglio
sentendo degli strani rumori: tendo l'orecchio per capire cosa siano quegli
scricchiolii e quei suoni di paratie che paiono aprirsi e chiudersi come per
una sosta in cui caricare o scaricare qualcosa. Effettivamente, la nave
sembra essersi fermata. Apprendo solo ora di questo scalo notturno alle
isole Åland, poste a metà tra Helsinki e Stoccolma. Guardo l'orologio: sono
più o meno le tre. Mi riaddormento subito dopo, senza più preoccuparmi dei
rumori della nave. Alle otto ci svegliamo tutti e due con la sveglia che
suona insistentemente, e presto ci leviamo dalle piccole ma comode brande
per fare una veloce colazione prima di scendere dalla nave, che di lì a poco
sarà a destinazione. Una volta mandati giù i soliti due biscotti e tre sorsi
di succo, facciamo un'altra veloce ispezione nella zona del casinò, sperando
che sia ancora aperto per raccogliere i frutti di un'intera notte di gente
che ha lasciato monetine nei videopoker. Come immaginato, è tutto chiuso.
Nelle macchinette sul largo corridoio centrale però rinveniamo ancora
qualche centesimo, subito giocato e logicamente subito perso, prima di veder
campeggiare la scritta "Fuori servizio", annunciata da un rumore tremendo
della macchinetta stessa che mi fa sobbalzare. Probabilmente si sono
dimenticati di spegnerla la sera prima, dato che è l'unica funzionante.
Soddisfatti di quest'ultimo raid mattutino, recuperiamo tutti i bagagli e ci
apprestiamo a seguire la marea di gente che si sta ammassando alle uscite,
tutti in attesa di visitare questa città così famosa e lungamente descritta
come una splendida capitale. Il nostro compagno di stanza ci saluta
augurandoci buona fortuna, ricambiamo e lo vediamo sparire lungo un'anonima
rampa di scale.
Prima di potercene rendere conto la nave ha già attraccato al porto di
Stoccolma: siamo tornati in Svezia. Ripercorriamo velocemente i corridoi
sospesi per raggiungere la metrò, la famosa Tunnelsbana, molto decorata e
ricca di vetrine con esposizioni artistiche, praticamente un misto tra una
metropolitana ed un museo! Il tunnel però non ci esalta, in quanto l'arrivo
è piuttosto caotico e stressante: la città e in particolare la metrò sono
affollatissime, fa abbastanza caldo e intercettiamo continuamente passeggini
che ci sbarrano la strada e ci rallentano pesantemente incastrandosi
dappertutto, specialmente ai girellini della metropolitana. Chiedendoci come
sia possibile che tutta questa gente abbia così tanti figli piccoli e se li
porti sempre in giro, prendiamo il primo treno diretto alla zona del centro
storico, famosa per la sua densità di edifici antichi e dall'indiscutibile
fascino. L'isoletta di Gamla Stan, il vero nucleo centrale della città
risalente al Medioevo, è colma di edifici sontuosi come la chiesa mortuaria
di Riddarholmen, la cui svettante ed appuntita guglia di ferro tocca la
ragguardevole altezza di novanta metri. Lastricata internamente di pietre
tombali che ospitano i resti di tutti i re svedesi fino all'epoca
contemporanea e con stampigliati sulle pareti tutti gli stemmi e trofei dei
cavalieri dell'ordine dei Serafini, dà proprio l'idea di un luogo di eterno
riposo. Poi viene la monolitica Residenza Reale, l'edificio più importante e
rappresentativo di Stoccolma. È la vecchia abitazione dei re, che però
vediamo solo dall'esterno, giallognola e squadrata. La città ha alle spalle
una grande storia, e questo quartiere ne è la dimostrazione. Una carrozza
trainata da cavalli che sta passando proprio in quel momento in mezzo alla
piazza contribuisce ad aumentare l'aria di medioevo che aleggia densa
attorno a noi.
Ammirati da questo quartiere così particolare, proseguiamo la nostra visita
verso il gigantesco municipio, con un'alta torre che domina il mare appena
adiacente. Riusciamo a salire in cima dopo un'ora intera di coda: si può
entrare solo in pochissimi alla volta. Il panorama visibile dalla cima
comprende tutta la città, la più grande e famosa tra le capitali nordiche,
peccato solo che il tempo non sia esattamente soleggiato. Ci aspetta poi la
visita all'enorme Palazzo Reale, dove dei soldati vestiti di verdognolo con
gli stivali bianchi stanno pronunciando ordini in lingua incomprensibile,
comandando il cambio della guardia e marciando a passo sicuro mentre nutrite
schiere di turisti osservano curiose. L'ingresso dei quattro musei lì
ospitati è presieduto da una guardia solitaria, armata di fucile a
baionetta, che ha l'ordine di non muoversi nè parlare. Nonostante ciò un
turista sta intavolando con lui una specie di conversazione, nella quale
però le proporzioni sono fortemente sbilanciate: la guardia si limita a
rispondere con qualche parola seccata, trasgredendo agli ordini per la
disperazione, mentre il curioso e logorroico importuno non accenna proprio a
smettere di fare domande. Deve essere già particolarmente noioso stare ore e
ore in piedi senza potersi muovere, in balia di qualsiasi condizione
atmosferica e senza nemmeno poter andare al bagno.se poi si aggiungono anche
le seccature dovute ai turisti è davvero il colmo!
L'interno del palazzo è magnifico: le stanze sono enormi, spaziose,
riccamente decorate con ogni genere di affresco e statue bronzee incastonate
negli spigoli delle pareti, che sembrano tenersi con le mani alle due travi
d'angolo. Ve ne sono quattro a formare un cerchio che abbraccia tutta la
stanza. Tanta ricchezza è impressionante, tutto questo sfavillare d'oro
quasi abbaglia la vista. Nei sotterranei possiamo invece ammirare delle
corone e spade tempestate di diamanti e pietre preziose in ogni centimetro
quadrato, oggetti straordinari dall'altissimo pregio che osserviamo senza
pronunciare parola. Finita la visita ai ricchissimi musei, è tempo di
visitare altri gioielli, come la cattedrale di Storkyrkan. I suoi colonnati
sono in mattone rosso a strisce biancastre che sorreggono le tre lunghe
navate, mentre spicca il maestoso altare argentato con la consueta e
splendida vetrata colorata circolare sulla cima. Perla finale è la complessa
e finemente rifinita statua rappresentante la lotta tra San Giorgio e il
drago, terminatasi con la sconfitta di quest'ultimo secondo la leggenda
raccontata dai tempi delle Crociate. Finisce qui la prima parte della
scorpacciata di storia e cultura locale che troviamo in questa affascinante
città, per occuparci di cose più banali, come cercare un posto dove poter
mettere qualcosa sotto i denti senza essere sorpresi dalla pioggia che
continua beffardamente ad andare e venire. A complicare le cose ci si mette
anche il vento freddo che spira dal mare, portando più nuvole invece di
spazzar via quelle presenti. L'unico posto tranquillo e riparato che ci
viene in mente per mangiare in santa pace è la stazione centrale dei treni,
non avendo ancora un ostello disponibile. Per poterci riposare dovremo
infatti aspettare la sera, cambiare un treno ed un bus per raggiungere una
zona molto fuori Stoccolma, dove si trova il nostro ostello. Sempre sperando
che il codice elettronico comunicatoci per telefono dal gestore sia
funzionante e ci permetta davvero di entrare, poiché essendo il fine
settimana non ci sarà nessuno ad accoglierci e dovremo fidarci unicamente di
quelle quattro cifre. Accantonata temporaneamente la preoccupazione e
riempito lo stomaco, ripartiamo per una visita nelle vie del centro, in
particolare nel lunghissimo viale dei negozi, dove se ne vedono davvero di
tutti i colori: prima tappa è il negozio di articoli rock e metal che subito
puntiamo e setacciamo da cima a fondo con estremo interesse per trovare
qualcosa di memorabile da portarci a casa, ma usciamo senza comprare nulla,
un po' scoraggiati dai prezzi alti. Anche una puntatina al negozio di
souvenir ci può stare, nell'insieme. Snobbiamo tranquillamente invece i
numerosissimi negozi di vestiti ed i ristoranti tipici italiani, visti i
loro prezzi astronomici. Non vogliamo certo spendere chissà quanti soldi per
mangiare una banale pizza che tra pochi giorni potremo gustare di nuovo a
metà prezzo in terra d'origine. Per quanto riguarda il vestire, i pantaloni
che abbiamo indosso ormai da venti giorni sono più che sufficienti.
Le strette viuzze centrali, con qualche guglia che spunta all'improvviso
altissima da dietro un caseggiato che fino a poco prima ne ha nascosto la
vista, sono un piacere da percorrere, nonostante la stanchezza delle gambe.
Ci concediamo un altro momento di riposo sui gradini di una statua nella
piazza adiacente al golfo, dove dall'altro lato è ormeggiato l'Af Chapman,
il vecchio vascello a vela ormai trasformato in ostello. Non sarà il nostro:
avremmo dovuto prenotare come minimo due settimane prima per trovare posto!
Proseguendo troviamo un concerto rock, che sembra fare concorrenza all'Opera
che ha traslocato sotto un tendone a poche centinaia di metri, suonando il
"Và pensiero". Perfino in Svezia sentiamo cantare italiano! Il direttore
d'orchestra si affanna con la sua bacchetta, piegandosi e facendola
volteggiare qua e là senza sosta, mentre i musicisti, visibilmente
concentratissimi, eseguono i loro pezzi in modo magistrale. Applausi
scroscianti.
Tumba
Finito il coro, proviamo a buttarci in un'altra strada, decisamente
affollata: un concerto di dimensioni enormemente più grandi si sta
preparando, non sappiamo chi dovrà suonare ma dall'aspetto dei milioni di
ragazzini che si sono riversati in strada possiamo capire che sarà qualche
plastificato idolo del pop, che non ci attira per niente. Spintonando e
sbuffando riusciamo a liberarci dalla calca nella quale imprudentemente ci
siamo addentrati, e una volta faticosamente liberi constatiamo che è tardi e
ormai i musei sono tutti chiusi. Si sta facendo sera, siamo stanchi e
dobbiamo pensare a come raggiungere i nostri giacigli per la notte: meglio
muoversi, dovendo fare non poca strada. Alla stazione centrale non viene
accettato il biglietto interrail per la tratta fino a Tumba, dove si trova
il nostro alloggio. Mi pare strano che non conoscano il biglietto, non
saremo certo i primi che vedono muniti di interrail, forse non hanno ancora
aderito all'iniziativa, o forse più banalmente stanno tentando di fregarci.
Vorremmo protestare ma non abbiamo molta scelta, dobbiamo fare i biglietti
velocemente perchè tra pochi minuti il treno partirà senza di noi. Da cui
paghiamo la salata tariffa senza obiettare.
Tumba è un altro paese un po' come Luleå, sperduto nella campagna svedese, e
ancora una volta non conosciamo nulla di esso, se non poche informazioni
confuse dateci per telefono dagli ostellanti. Venti minuti di treno, col
rosso tramonto visibile dai finestrini di sinistra, ci portano al primo
cambio di mezzo. Appena scesi possiamo subito vedere l'autobus numero 708
che sta facendo il giro della piazza per posizionarsi sul suo spazio, pronto
a caricare i passeggeri: è uno di quelli che possiamo prendere per arrivare
in zona ostello. Un'altra corsa forsennata per arrivare giù in tempo, solo
per sentirci rispondere dal nero autista, per giunta in italiano: "Qui non
si fanno biglietti". Scornati e maledicenti quell'autista così impietoso,
anche se non è colpa sua se non possiamo salire subito, ritorniamo sul
sovrappassaggio per cercare un punto che venda biglietti dei bus. Si
comprano nello stesso punto da cui siamo passati uscendo: anche qui
l'interrail non ha alcun effetto per ridurci le tariffe, e dobbiamo pagare
l'esorbitante cifra di diciotto euro per un tragitto di pullman della durata
sì e no di un quarto d'ora.
Decisamente arrabbiati per la fregatura presa, dato che con tutti quei soldi
spesi per niente avremmo potuto dormire in un albergo per giunta in pieno
centro, scendiamo con passo svelto per aspettare l'autobus. Speriamo che
come minimo quel biglietto valga anche per il ritorno, dato che è stampato
su entrambi i lati. L'autista che arriva venti minuti dopo è molto più
gentile e disponibile, timbra il biglietto in corrispondenza del secondo
riquadro (su sedici totali, ma noi non abbiamo assolutamente chiesto un
abbonamento!), e ci rassicura di essere sull'autobus giusto. La nostra
fermata è in un posto che definire isolato è un eufemismo: dobbiamo scendere
in una rientranza di un lunghissimo stradone, con alberi e campagne ad
entrambi i lati e pochissimo altro, se non fosse per un enorme cartello che
segnala un ostello della gioventù sulla sinistra. Il simbolo della casetta e
dell'abete è inequivocabile. L'autista ci dà addirittura indicazioni su come
arrivare, ci profundiamo in ringraziamenti e ci mettiamo in cammino, ancora
imprecando per la situazione in cui ci siamo andati a cacciare. Di nuovo ci
viene il dubbio: e se per caso il codice, datoci sottoforma di indovinello
calcistico dalla simpatica ragazza che aveva preso la nostra telefonata, non
fosse valido per entrare? Meglio non pensarci. Davide indovina subito il
punto in cui tagliare a sinistra, e di lì a poco scopriamo che l'ostello è
parte di un camping molto ben organizzato e composto da decine di edifici,
tra cui ristoranti, parchi di divertimenti e chissà cos'altro che non
possiamo vedere bene data l'ora tarda. Seguendo le indicazioni arriviamo ad
una costruzione un po' dismessa, ma tutto sommato di aspetto invitante, con
la fatidica tastiera sullo stipite della porta per digitare il codice. Primo
numero valido, secondo e terzo validi, con un leggero batticuore...quarto
numero valido. La serratura lampeggia di verde e possiamo entrare. Appesa
nell'anticamera notiamo subito una busta con scritto un sorprendente
"Welcome!" seguito dal mio nome. Tale busta contiene le chiavi della camera
e le istruzioni su come pagare, lasciando il mio numero di carta di credito,
che verrà registrato e utilizzato lunedì, quando riaprirà la reception. In
quale altro Paese si fiderebbero a fare una cosa del genere? Chiunque
potrebbe tranquillamente lasciare fin dall'inizio un numero di telefono
falso, dormire abusivamente ed andarsene senza pagare! Ma evidentemente qui
non è consuetudine.
La camera è riservata per noi, ben riscaldata e pulita, il che ci ripaga in
piccola parte della scarpinata e dell'esorbitante costo del biglietto che
ancora non sappiamo se servirà anche per il ritorno. Ci incoraggia il
pensiero che probabilmente non lo dovremo rifare, non esistendo quasi
certamente nulla nelle vicinanze in cui si vendano biglietti. Una veloce
ottimizzazione dei bagagli e del cibo per potersene andare quanto più
velocemente possibile la mattina seguente, poi ci infiliamo sotto le
coperte. Io da incosciente mi copro solo col lenzuolo trascurando il
piumone, convinto che faccia già abbastanza caldo: grave errore di cui
pagherò le conseguenze, svegliandomi l'indomani con un incipit di
raffreddore.
Ostello galleggiante
I terribili biscotti alla menta e cioccolato comprati il giorno prima volano
ancora incartati tra i rifiuti dopo pochissimi morsi, sono immangiabili. Ce
ne andiamo curandoci di non lasciare nulla: per nessuna ragione al mondo
vogliamo tornare in questo posto. Gli autobus, come abbiamo avuto modo di
vedere la sera prima, passano molto spesso anche la domenica, per cui non ci
preoccupiamo troppo degli orari. Ad aspettare il bus, su quella fermata in
mezzo al niente, siamo solo noi due, infastiditi da un vento forte e
continuo, e dall'attesa che comincia a farsi lunga. Abbiamo pensato anche a
come cavarcela nel caso in cui il nostro biglietto venisse rifiutato: la
prima tattica è fare gli gnorri, fingendo di aver ricevuto informazioni
sbagliate sulla sua validità, per poi tentare di impietosire l'autista, al
limite sfoderando l'improbabile arma segreta: il misconosciuto biglietto
interrail. Per fortuna non è necessario niente di tutto ciò: l'autista
timbra il quarto spazio, lasciando il terzo inspiegabilmente vuoto così come
quello della scorsa sera ha lasciato vuoto il primo, e ci lascia salire
senza dire una parola. In tutto, la bellezza di ventotto euro solo per il
trasporto. Un furto.
Ora è tempo del trasferimento bagagli al nuovo ostello, stavolta non
lontanissimo dal centro della città: dopo una fermata di metrò arriviamo
nella via in cui dovrebbe essere, ma il suo numero civico non esiste. Un
cartello lo indica sulla destra, dove non c'è assolutamente nulla: si vedono
solo una vaga rimessa per auto e l'entrata di un parcheggio coperto. Piove,
fa freddo e ci stiamo irritando notevolmente per queste informazioni così
fuorvianti. Dopo aver girato in lungo e in largo cercando questa fantomatica
via, al colmo della frustrazione, chiediamo aiuto ad un ragazzo che sta
passando: dove diavolo è questo Red Boat House? Risposta: esattamente dalla
parte opposta che pensiamo! Non abbiamo idea di che posto sia, dal nome
possiamo intuire che abbia a che fare con le barche, e una volta raggiunto
scopriamo che è proprio una barca! Un vecchio battello da pesca abbastanza
grazioso, con la cassaforte dei bagagli in legno situata appena davanti al
ponte di collegamento. Sul tetto di questa buffa rimessa cresce un bel
tappetino erboso. L'ostello non sarà certo l'Af Chapman, ma è comunque una
nave, quindi una cosa nuova! Solo questo salva l'ostello dalla nomina di uno
tra i peggiori visitati: apparentemente carino fuori, ma dentro decisamente
disagevole. Le scale per scendere al piano inferiore, dove si trova la
camera a noi assegnata, sono ripidissime, strette e pericolosamente
scricchiolanti. C'è un unico orinatoio per tutta la nave, munito di
lavandino, mentre l'altrettanto unica tazza, in un altro bugigattolo, ne è
invece priva. Che senso ha non metterlo proprio dove ce n'è più bisogno?
Sorvoliamo su questo dettaglio e parliamo delle docce, praticamente aperte.
L'unico barlume di privacy è dato dalla tenda che si può tirare, ma non
esiste porta: di conseguenza, praticamente nessuno nell'ostello fa la
doccia, tantomeno noi. La camera è l'apoteosi: due letti a castello in uno
spazio che definire claustrofobico è un complimento, chi dorme sopra non ha
nemmeno una scaletta per arrampicarsi ma solo un vago gradino completamente
liscio ed inclinato a 45° che risulta completamente inutile. Oltretutto, una
volta arrivato in cima lo sventurato può a malapena girarsi nel letto: lo
spazio tra materasso e soffitto è così ridotto che scendere diventa un
problema, non potendo gettare il peso in avanti. Per non parlare di quando
l'occupante del medesimo letto tenta di sollevare il busto: può farlo al
massimo per una ventina di centimetri prima di battere il capo
sull'irregolare soffitto, intonacato in modo a dir poco grezzo. Gli oblò
sono microscopici, tenuti costantemente chiusi dalla coppia di francesi che
alloggia con noi: così facendo viene completamente azzerato il ricircolo
d'aria e peggiora notevolmente la situazione delle mie cavità nasali, che
tra non molto presenteranno il loro conto da pagare.
I musei
Sistemati gli zainoni negli unici vani in cui riescono a passare, ce ne
andiamo preparandoci ad una intensa e mentalmente faticosa giornata di
visite culturali: abbiamo ben tre musei da visitare. Il National Museum, un
altro di arte moderna e, dulcis in fundo, il famoso museo del vascello
denominato Vasa Museum. Il primo è il più classico, dedicato a quadri ed
oggetti di uso comune dal primo Novecento agli anni Settanta, incluse delle
macchine da scrivere che mi fanno venire una gran voglia di usarle come
facevo molti anni fa per stendere i miei primi timidi pensieri da bambino
decenne. Notevoli anche gli splendidi orologi intarsiati con metalli
preziosi di ogni forma e colore, una delizia per gli occhi. Il secondo museo
è un insieme di arte astratta e bizzarra, ma che lascia intravedere
significati nascosti molto profondi, in particolare di un'opera che mi
colpisce moltissimo: un insieme di centinaia di foto di persone comuni,
prese dalla strada, appese sul muro a formare un collage. Sotto tutte queste
fotografie, campeggiano altrettanti fogli di carta con stampata la
descrizione di ognuna: c'è la persona che ha appena perso l'aereo pagato
profumatamente perchè le indicazioni del centro turistico erano sbagliate,
l'ex alcolista affidato agli assistenti sociali che ogni mattina passano a
recapitare la busta con il cibo senza suonare il campanello perchè hanno
paura di lui, l'uomo a cui hanno appena tolto il rene sbagliato, la donna
che ha appena perso il figlio in un incidente stradale, lo studente a cui è
stata rifiutata la tesi preparata in due faticosi anni, la ragazza che ha
scoperto solo dopo sposata di essere sterile, e così via per centinaia di
pietose situazioni tutte apparentemente slegate tra loro, ma con un
denominatore comune: l'impietosa varietà delle sofferenze che si possono
provare e soprattutto l'incomunicabilità della condizione umana, dove ognuno
è abbandonato a se stesso senza che il resto del mondo si curi di lui.
Ognuno deve portarsi il suo fardello in silenzio senza poter contare
sull'altrui comprensione, che non arriverà mai ad essere totale.
Il vascello
Il terzo ed ultimo museo contiene un'enorme vascello del diciassettesimo
secolo ancora quasi completamente intatto, lungo almeno settanta metri. C'è
da rimanere senza fiato ad osservare le sue statue di legno incastonate a
poppa, le reti su cui i marinai si arrampicavano per arrivare in cima
all'albero maestro a fare da vedette, i paurosi fori quadrati sulle fiancate
da cui i marinai nemici si vedevano spuntare le bombarde, nel terrore più
puro. Ci sono più di dieci piani su cui salire, da ognuno si vede la nave in
un' angolazione diversa e sempre più suggestiva, finchè dalla cima si può
ammirare l'intero vascello in tutta la sua stupenda grandezza. Come abbiano
fatto a trasportare questo mostro e rinchiuderlo dentro quattro mura e un
tetto è un vero mistero. Ai lati ci sono tutte le rappresentazioni in
miniatura della nave e delle sue stanze, rendono abbastanza bene l'idea ma
preferiamo osservare la nave vera e propria. Non ci si può salire sopra per
ovvi motivi, ma non è necessario: dall'altro lato si può vedere il ponte a
brevissima distanza, e ancora una volta mi sembra di essere in una scena di
Capitani Coraggiosi. Come il libro, anche questa splendida nave davanti ai
miei occhi riesce a farmi sognare per qualche minuto.
Raffreddore
Le mie elucubrazioni mentali vengono interrotte quando sento un saporaccio
in fondo alla gola che so bene essere il preludio di un raffreddore forte.
Deve proprio scoppiare adesso, non può ritardare di qualche giorno,
accidenti? La sera torniamo a rintanarci prima apposta, per evitare di
ammalarmi troppo. Metto in atto appena arrivato in ostello le mie misure
preventive sempre molto efficaci per ridurre la potenza del malanno
incipiente o già conclamato: bere tantissima acqua per accelerare lo
smaltimento delle tossine e stimolare la circolazione nelle zone infiammate,
sopportando l'effetto fastidioso che ha sulla gola malata. Evito invece il
più possibile gli antinfiammatori come l'aspirina, meno prendo farmaci e
meglio è. La cura funziona: il naso inizia a colare un po' meno e mi sento
fiducioso di poter stare bene l'indomani. In qualche modo, nonostante il
naso chiuso e il continuo fastidio del soffiarselo, riesco a prendere sonno.
In un orario imprecisato attorno alle due di notte mi sveglio col naso
completamente chiuso, da non riuscire più a respirare se non con la bocca, e
questo fa crollare un po' di miei propositi per il giorno che viene. Rimango
un po' seduto per cercare di riaprirmi le narici, con un discreto successo,
finchè riesco a riaddormentarmi. Alle sei mi sveglio di nuovo, questa volta
definitivamente. Maledico il virus che mi ha ridotto in questo stato, e
questa volta sto seduto più a lungo, per evitare di intasarmi nuovamente. Mi
accorgo del caldo soffocante che c'è nel nostro angusto ambiente: i due
francesi hanno lasciato entrambi gli oblò chiusi, con le tendine tirate che
lasciano passare pochissima luce. Vrrei alzarmi per aprirli ma non ho voglia
nemmeno di fare quei quattro passi necessari. Posso resistere, inoltre quel
calduccio mi fa bene, se non altro il naso non mi cola. Mano a mano che sto
seduto, ascoltando il rumore del respiro dei miei compagni di stanza e
cercando di aprirmi il naso il più possibile, mi torna un po' di sonno, ma
non cedo alla tentazione di sdraiarmi di nuovo: se mi riaddormentassi,
all'ora della sveglia alle otto avrei il naso completamente intasato e
sarebbe una tortura andare in giro in quelle condizioni. Così rimango seduto
e mi immergo nei miei pensieri, che nelle due ore che passano prima che
Davide si svegli spaziano davvero dappertutto. Un pensiero è prevalente
sugli altri: la vacanza ormai sta finendo, oggi è il nostro ultimo vero
giorno di interrail, è stato tutto splendido e denso di emozioni
completamente nuove, ma tra poco sarà tempo di tornarsene a casa e
riprendere la vita normale, con i suoi pro ed i suoi contro.
Perdendomi in questi pensieri il tempo passa molto velocemente: alle otto,
come previsto, il mio compare si è svegliato, insultando vivacemente i
vicini di letto per l'ambiente asfissiante da loro creato. Abbandoniamo la
fornace di caldo e sudore il più velocemente possibile.
Heavy Metal
La pioggerellina lieve ma costante non ci risparmia nemmeno oggi: le
speranze di passare almeno l'ultimo giorno di visita con il sole crollano
definitivamente, una volta usciti all'aria aperta e dato un occhio al cielo,
quasi interamente coperto da nuvoloni larghi e grigiastri. Dopo una veloce
colazione sulle scale di pietra vicino alla strada, ci concediamo un
rilassato un giro panoramico in una zona sopraelevata della città da cui si
vedono benissimo spuntare tutti gli edifici storici. Poco distante si trova
la chiesa di Santa Sofia: un grazioso luogo sacro con le panche disposte a
semicerchio attorno all'altare, dove assorbiamo un po' di benefico calore ed
approfittiamo per meditare ancora un po' sulle nostre odierne sorti.
L'unica cosa che ci rimane da vedere di Stoccolma è il Globen, dall'altra
parte della città. Si tratta di un'enorme costruzione sferica, bianca e
reticolata, la più grande costruzione a forma di globo del mondo intero.
Ospita molti negozi al suo interno (circa centocinquanta!), in un centro
commerciale enorme che usiamo solo per mangiare i nostri panini al formaggio
spalmabile, individuata per pura fortuna un'unica panchina libera. Nulla di
più da vedere: tra tutti quei negozi non ce n'è nemmeno uno di articoli rock
o di qualcosa che ci possa stuzzicare la fantasia, da cui ci rimane
solamente da ripercorrere il vialone centrale, dove potremo comprarci
qualcosa che ci ricorderà per sempre questo viaggio. La scelta cade sulle
magliette che raffigurano le effigi delle nostre band metalliche preferite.
Una volta individuate quelle giuste, ignorando beatamente il prezzo
leggermente elevato, finalmente ci togliamo anche quest'ultima
soddisfazione. Curiosando un po' nei vari negozi del viale troviamo in
vendita veramente di tutto: è divertente confrontare i prezzi e pensare a
quante stupidate siano in vendita per non pochi soldi, come le orribili
statuette dei troll delle quali gli scaffali fortunatamente non si svuotano
mai dato che non le compra praticamente nessuno. Ormai sufficientemente
soddisfatti e stanchi da non voler strafare, ci liberiamo da qualsiasi
impegno per quel che resta della giornata, complice anche il mio naso che
sta ricominciando a colare violentemente sotto l'effetto del vento e del
freddo. Convinco Davide a tornare presto in ostello, non riesco più a
controllare le mie secrezioni, mi sento la febbre e sto consumando
fazzoletti uno dopo l'altro. Il calduccio mi cura nuovamente, fino a
scivolare in un sonno leggero.
L'indomani prendiamo il treno per l'aeroporto di Arlanda, ormai la nostra
odissea è finita. Ci rivediamo sul prossimo treno, destinazione ignota.
Daniele
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1998 - 2022 Marco Cavallini
ultimo aggiornamento 19/10/2021