Opuwo non offre molto. La sera usciamo a fare un giro e l’attrattiva del posto sembra essere un bar
sulla strada dove sono raccolti giovani e meno giovani. Ce ne torniamo alla "casa", dove ci aspetta un
tanto desiderato letto, se non per tutti, quasi per tutti e ci riposiamo per affrontare la lunga giornata
verso le cascate Epupa. Le Epupa Falls scaturiscono dal fiume Kunene; questo fiume rappresenta il confine
naturale che divide la tranquilla Namibia dalla martoriata Angola. La strada è completamente sterrata
e di difficile percorrenza. Incontriamo numerosi villaggi, prevalentemente Himba.
Ci fermiamo in un villaggio. Job e Marco chiedono il consenso di poterlo visitare in cambio di zucchero,
farina e tabacco. Gli uomini sono al pascolo con gli animali, e quindi sono le due donne più anziane
ad accoglierci, disinvolte, mostrandoci i loro oggetti in vendita. Arrivano anche i bimbi Himba del villaggio
accanto e si mescolano con i bimbi Dimba di questo villaggio. Fa molto caldo in questa zona e noto, alzando la
testa, che l’albero sopra di me è zeppo di pezzetti di carne messa ad essiccare. La donna più anziana
fuma qualcosa simile ad un sigaro.
Il secondo villaggio che visitiamo è Himba; siamo fortunati perchè proprio quel giorno il padre
di una delle ragazze ha ucciso una vacca per la figlia (Andrea, il nostro veterinario di gruppo ci ha notevolmente
informati che il termine corretto è proprio vacca e non mucca). Le ragazze, tutte giovanissime e mamme, sono
all’interno della capanna. Spezzano con una pietra le ossa della vacca e ne succhiano il midollo, mentre gli uomini
sono fuori, indaffarati con una pentola a cucinare alcuni pezzi di carne. Siamo tutti un po’ sorpresi e imbarazzati
mentre loro ridono, forse di noi, del nostro imbarazzo. La loro naturalezza ci sorprende.
Riprendiamo la strada, l’ultimo tratto è davvero insidioso e difficile ma una volta arrivati alle
Epupa Falls lo spettacolo è eccezionale. Dopo chilometri di paesaggio secco, senza un filo d’erba verde,
se non qualche alberello e cespuglio, Job ci fa una sorpresa! Parcheggia la macchina su un dirupo in cima
all’ultima inaspettata montagna e sotto di noi il paradiso! Le cascate sono fragorose, la vegetazione è lussureggiante!
Nuovamente la Namibia ci sorprende, con quest’abito elegante! Scopriamo subito che il campeggio dove dormiremo la notte
è proprio sulla sponda del fiume, sotto le palme. Calata la notte non ci resta che sederci sulla panca in riva al
fiume, osservare le stelle, ascoltare il rumore dell’acqua e sospirare per tanta bellezza. Un coccodrillo se ne sta
dall’altra parte del fiume, in Angola, e ci assicurano non verrà in Namibia a causa della
forte corrente del fiume. Siamo rassicurati dato che le nostre tende sono proprio a "portata" di fiume.
Ci scappa un: "Capo, perchè non restiamo qualche giorno in questo paradiso?".
Marco non sente.
La mattina dopo, prima che sorga il sole, siamo già svegli, smontiamo le tende e ce ne andiamo a malincuore.
Mi giro per l’ultima volta a salutare silenziosamente questo angolo sperduto di mondo.
Sembra, dal programma, che la giornata di oggi sia la più dura. Sono 470 chilometri, fa molto caldo,
la strada è sterrata per tutta la lunghezza. Dopo una settimana, abbiamo approfondito la conoscenza
con Job, il nostro autista namibiano che, devo dire, non è assolutamente timido, come sembrava all’inizio.
Non manca di scherzare con noi, ma in particolare, con Marco. Molto spesso si scambiano battute
in inglese e ridono da soli! Noi, dalla postazione posteriore della jeep, ci guardiamo e come possiamo
non ridere vedendo questi due! Poi Mary ci fa la traduzione dato che l’inglese è la sua lingua
madre, mentre Job e Marco pensano tranquillamente di non aver fatto trasparire niente dai loro discorsi.
Job ha assunto delle espressioni che noi spesso adottiamo quali, "Let’s go Marco", mentre quest’ultimo
s’è appena acceso la sigaretta, oppure un "ok" molto trascinato e languido, che diventa
ooookkkkeeeeiiiii e che noi adottiamo quale espressione di un "va bene, andiamo".
Ogni tanto cadiamo nel sonno e aprendo gli occhi, ciò che vediamo è un paesaggio nuovamente
arido, ora affiorano montagne spoglie, paesaggi lunari, prati dai fili color dell’oro e il nulla.
Spesso ci fermiamo a scattare qualche foto dove parole quali "interminati spazi, sovrumani silenzi, profondissima quiete",
trovano una collocazione ben precisa.
Alcuni babbuini beffardi ci attraversano la strada, si fermano a guardarci e poi se ne vanno
cosicchè le nostre macchine fotografiche a malapena arrivano ad immortalarli! Nel caldo pomeriggio
una sosta a Sessfontein ci permette di rinfrescarci in una pozza di acqua sorgente.
Nella sera ci attende il campeggio di Palmwag, un posto molto tranquillo, in una valle a conca
circondata da montagne, dove soffia un vento freddo. Facciamo un salto alla pozza dopo aver cenato al chiosco
del campeggio, ma non ci sono animali ad abbeverarsi.
Dopo una settimana, mi rendo conto di aver perso il senso dell’orientamento. Non so che giorno della
settimana sia. Rifletto, penso e concludo che è sabato. Penso ai sabati in Italia e sono estremamente
felice all’idea che questo sarebbe stato molto diverso. La mattina inizia naturalmente molto presto; un "oookkkeeeeeiiii, sto arrivando",
ed eccoci sulle jeep! Giungiamo nella regione del Damaraland e la prima tappa è a Twifelfontein dove,
sulle rocce di arenaria, sono incisi disegni rupestri che hanno circa 6000 anni, raffiguranti animali,
quali giraffe, elefanti, leoni, ecc. che ora non vivono più in questa zona e altri disegni raffiguranti
alcuni uomini. Visitiamo la foresta pietrificata che è cosparsa di tronchi di albero giunti probabilmente
da un’alluvione. A pochi chilometri la Burnt Mountain e Organ Pipes; il primo è un crinale vulcanico che
si differenzia per il colore nero di terra bruciata dalla cui cima si può ammirare la valle, mentre Organ Pipes
è una gola dove colonne di dolerite sembrano canne d’organo, da cui appunto prendono il nome.
Ambita è la mitica Skeleton Coast dove approdiamo domenica! I marinai portoghesi,
quando si riferivano a questa costa, dicevano del suo litorale: "le sabbie dell’inferno".
Per giungervi il paesaggio è impressionante. Una strada ricavata in una distesa che a 360 gradi
è formata da sabbia, ghiaia e una perenne nebbiolina. Pare di vedere il mare a pochi chilometri,
in realtà è solo un’illusione dovuta appunto ad un velo di nebbia all’orizzonte che si mescola
al colore della sabbia molto chiara. Per chilometri e chilometri ci siamo illusi di vedere l‘oceano e il
movimento delle onde, alcune navi che lo solcavano, per poi capire che era solo un miraggio e qualche cespuglio
in lontananza. Il mare però, ad un certo punto, arriva, insidioso, ribelle. Sulla costa fa freddo e
sulla spiaggia vediamo il relitto di una nave. L’effetto scheletrico di quanto resta ci da l’impressione
descritta dai navigatori portoghesi. Ci sono molti altri relitti disseminati sulla costa, alcuni
abitati dai cormorani che ne spezzano il silenzio, altri inaccessibili perchè zona di diamanti.
Il diamante è una delle risorse principali di questo Paese dalle mille sfaccettature. Lo spot
di una famosa azienda di diamanti dice "un diamante è per sempre". Penso tra me,
in realtà questo paesaggio è per sempre!
L’oceano non finisce di stupirci; più a sud, a Cape Cross, visitiamo una colonia di otarie.
Come scendiamo dalla macchina, nell’aria si sente un forte odore e un fragoroso chiasso di versi
animali. Sono tantissime, sulla spiaggia, in mare. Alcune dormono, altre litigano, i grossi maschi
sembrano tutti molto agitati e non mancano di azzuffarsi tra loro per il predominio della propria
area e per le proprie femmine. La sera giungiamo a Henties Bay. Siamo molto infreddoliti, il vento
è ancora forte. Prendiamo una tazza di caffè, e ahimè, qualcuno scopre le boerewors!
Si tratta di una salsiccia, uno spuntino prelibato a tutte le ore! Marco in particolare sembra sia
fornito di una tasca magica, da cui ne sbuca spesso, misteriosamente, qualcuna, anche nei giorni successivi!
I giorni scorrono velocemente, sempre intensi, tra lo Spitzkoppe, una bellissima montagna
dalle forme arrotondate la cui estremità termina con una vetta appuntita, tra il parco delle
Welwitschie, una pianta decisamente brutta, ma particolare nel suo genere, tra la Valle della Luna,
un paesaggio di basse e grigie colline deserte che ricordano appunto un paesaggio lunare, per giungere
a Swakopmund, cittadina di mare, decisamente in stile tedesco, dove il nostro caro autista Job ha
a che fare con il forte vento di quella sera. Ad una sosta presso il monumento dedicato ad una vecchia
locomotiva, Job si è messo a correre i 100 metri a tempo di record, lungo la pianura deserta
mentre noi non capivamo perchè avesse tanta fretta! Beh, gli erano volate via due belle banconote,
per fortuna poi, recuperate!
In Namibia non cambia solo il paesaggio ma anche la temperatura; a Swakopmund, il cielo è coperto
di nuvole minacciose e si sta bene con un maglione. Avremmo comunque riassaporato il caldo dato
che l’ultima meta del viaggio sarebbe stato il deserto all’interno del Namib Naukluft Park.
Lungo la strada che porta al Namib ci siamo fermati ad una locanda, dove ci siamo deliziati di
una ottima torta di mele appena sfornata! Questo posto è a Solitaire, in una valle tra il
deserto e tutto il resto; il "locandiere" di probabile origine tedesca, è un grosso signore
biondo, con dei grossi baffi e nella sua locanda, fotografie, attrezzi agricoli appesi alle pareti,
cimeli e quant’altro, riportano indietro nel tempo. Assaporo un luogo dove molti vi hanno transitato.
Il Namib-Naukluft Park contiene uno dei deserti più belli del mondo ed è unico per
la sua colorazione arancio - albicocca. L’incontro con il deserto è avvolgente, affascinante.
Antoine de Saint-Exupèry ne Il piccolo principe ne parla così: "Mi è sempre piaciuto
il deserto. Ci si siede su una duna di sabbia. Non si vede nulla. Non si sente nulla. E tuttavia qualcosa risplende in silenzio..."
Salire su una duna è una sfida tra uomo e infinito. Dall’altra parte vi è la certezza
che vi sia ancora deserto, eppure la curiosità di varcare il muro di sabbia è fortissima.
Le dune della valle di Soussuvlei arrivano a 300 metri di altezza e si stagliano verso un cielo azzurro
e limpido. Ai piedi delle dune, una valle piatta e bianca, secca, disseminata di crepe dove giacciono immobili,
tronchi di alberi oramai morti e inermi, è di un fascino indescrivibile.
Giunti sul crinale della duna prescelta, ci aspetta il vento che da sempre disegna e modella la
forma del deserto spostando infinitesimali particelle di granelli di sabbia e questa entra dispettosamente
dappertutto, sui vestiti, sui capelli. Ci si siede e si ammira una morbida distesa macchiata a sprazzi da
ombre di nuvole fugaci. La dura fatica è ripagata da tanta bellezza.
L’occasione per "spiare" meglio il silenzioso deserto ci viene data con un volo in Cessna; decidiamo
in cinque di sorvolare la vallata nel tardo pomeriggio. Passiamo sopra la duna 45 che la mattina
stessa avevamo calpestato. A quest’ora il vento aveva già cancellato le nostre orme. Il deserto,
dall’alto è un gigante che non teme nulla, ignaro di noi e della nostra presenza.
L’ultimo giorno è stata una grande sorpresa. Certo, non avevamo visto il leone e il leopardo
allo stato brado, ma non ci potevamo lamentare di tutti gli altri animali che avevamo incontrato. Ad un
certo punto Job svolta la macchina alla Gecko’s Farm, una tranquilla abitazione, con un bel manto d’erba
e un cespuglio di buganville... però a guardar meglio se ne stava niente di meno che un leone
sdraiato all’ombra!! Un ragazzo francese, soprannominato da noi, "il domatore", ci conduce dal leone, Zabu,
che è un maschio di circa 9 mesi! La criniera è ancora poco pronunciata dato che è ancora
un piccolo-grande cucciolo! Accarezzarlo è stato magnifico, seppure con riserbo e un po’
di paura. In fin dei conti era sempre un leone! Mentre nel recinto accanto se ne stava Kara, una
bellissima femmina di leopardo che addirittura non si è solo fatta accarezzare, ma si è
messa anche a fare le fusa. Beh, un finale così neppure me lo sognavo! E’ stata dura lasciare
la Gecko’s Farm, dato che noi ragazze avremmo offerto volentieri il nostro aiuto al giovane domatore francese.
Che dire; ci aspettava nuovamente Windhoek e il lungo ma soprattutto triste rientro. Confermo,
come mi era stato detto, che la Namibia si è rivelata davvero come una Svizzera d’Africa
ma conserva tuttavia popoli e culture tradizionali.
Il 13 alla fine non ha portato male dato che è andato tutto meravigliosamente per
il verso giusto. Ora posso dirlo, non abbiamo ancora bucato una gomma! Un grazie ai 13: Marco, il
capogruppo e le sue deliziose salsicce, Anna la milanista sfegatata, Anna Maria (la nostra infermiera,
con cui mi scuso per aver spesso confuso il suo nome), Mary (la mia principale traduttrice di inglese,
con cui mi scuso per aver confuso spesso anche il suo nome), Marino-Moreno (anche il suo ho confuso!),
Mariuccia e Roberto i simpatici piacentini, Antonio e la sua tenda "in 60 secondi", Andrea il veterinario,
Giuliana (senza di lei, in cucina sarebbe stata grave), Carla e la storia della sua vita, Laura e la
sua pazienza (sa a memoria la storia della vita di Carla), e poi la tredicesima sono io, Chiara.
Un grazie a tutti e.... al prossimo viaggio!
Chiara
Foto e itinerario del viaggio in Namibia
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1998 - 2022 Marco Cavallini
ultimo aggiornamento 19/10/2021