H O M E P A G E
Incredible India
(seconda parte)
Bikaner - Mandawa
La mattina successiva siamo di buon ora in auto stavolta diretti a Bikaner.
Le 5 ore di auto per raggiungere Bikaner trascorrono tranquillamente conversando con il nostro amico Raj, attraversando un territorio ancora arido, ancora per alcuni scorci si possono ammirare delle dune di sabbia. La strada è completamente asfaltata, in ottime condizioni e il traffico è veramente scarso.
Arriviamo a Bikaner verso l’ora di pranzo e la prima impressione che abbiamo attraversandola in auto non è proprio delle migliori, riusciamo a vedere solo un grandissimo caos.
Dopo una breve ricerca ci sistemiamo presso l’Hotel Jaswant Bhawan, in una grande stanza pulita ma un po’ malconcia, sarà perché la costruzione sembra avere qualche anno sulle spalle.
Siamo gli unici turisti dell’hotel e il gentilissimo gestore ci offre qualcosa da mangiare presso la sala della casa padronale che si trova all’interno dell’hotel. E’ un salone molto lussuoso e i “padroni” della struttura attualmente ci vivono . Ci dice che questa una volta era la casa di una parlamentare indiana.
Ci chiede anche se vogliamo restare a cena… immagino che abbia voglia di parlare con qualcuno, visto che non mi sembra ci sia un gran movimento nell’hotel e considerato quel poco che abbiamo visto della città, accettiamo volentieri.
Siamo di nuovo a visitare una fortezza, Junagarh Fort.
Tra quelli che abbiamo potuto visitare fin ora è quello che meno mi ha colpito, forse perché meno scenografico, non è costruito su di un promontorio, forse perché ne abbiamo già visti altri più belli, certamente una visita la merita, è molto imponente anche questo con i suoi 37 bastioni ma nulla a che vedere con Meraghaner di Jodphur.
Molto molto più stravagante e interessante è la visita al Karni Mata Temple. IL TEMPIO DEI TOPI.
Questo tempio si trova a d una trentina di Km da Bikaner a Deshnok ed è, nello stesso momento sia il tempio più stravagante e affascinante che sconvolgente e sconcertante che abbia visto in questo viaggio…e non solo.
Me ne avevano già parlato ma di persona fa veramente effetto, dopo aver superato un portale di argento massiccio si entra nel cuore del tempio e ci si imbatte subito con i topi che lo popolano….
Ce ne sono a migliaia, di tutte le dimensioni, tutti liberamente a spasso nell’ampio cortile del tempio insieme a turisti curiosi , rigorosamente a piedi nudi o al massimo con i calzini come facciamo io e Anna, e agli hinduisti che vengono qui a pregare, si perché questo è un vero e proprio luogo di culto e pellegrinaggio per la religione Hindu.
I topi sono sacri, all’interno del tempio infatti la leggenda narra che: “Karni Mata, incarnazione di Durga, avesse chiesto a Yama, dio della morte, di resuscitare il figlio di un cantastorie, allorché Yama si rifiutò, Karni Mata fece reincarnare in topi tutti i cantastorie defunti affinché Yama fosse privato delle anime di quegli uomini, in seguito i topi si sarebbero nuovamente reincarnati in uomini.” Cit. Lonely Planet.
Da qui la sacralità dei topi all’interno del tempio, per un Hindu aggirarsi nel tempio è la cosa più naturale del mondo e se un topo dovesse passare sopra un loro piede questo sarebbe segno di buon auspicio…. per noi è un po’ differente, ogni passo che faccio guardo attentamente dove metto i piedi, riusciamo a stare dentro 15 minuti, per scattare alcune foto, fino a quando un bambino per scherzo mi tocca i piedi e subito fa il verso del topo…. faccio un salto sul posto di mezzo metro, quasi svengo e decido che per me è ora di uscire.
Fuori dal portone di argento prendo con le molle i calzini che ho indosso li tolgo e li ripongo nel cesto della spazzatura più vicino, vedo che non sono il solo occidentale a fare questa operazione.
Prima di ritirarci in albergo per la cena ci togliamo lo sfizio di fare un giretto per il centro della città per vedere se l’impressione avuta all’arrivo fosse sbagliata.ma l’impressione era giusta, infatti oltre a non esserci praticamente nulla di interessante, secondo me peggio di Jodhpur, c’è la solita confusione indescrivibile, la strada principale non è asfaltata e quindi si alza una nube di polvere che si mescola con lo smog del traffico caotico del centro città rendendo l’aria praticamente irrespirabile. Non è un posto salutare per passeggiare per cui ritorniamo velocemente sui nostri passi.
Con noi mangerà anche il simpatico e un po’ invadente gestore e a fine cena lezione veloce di frasi romantiche in italiano, infatti ci dice che è innamorato di una ragazza del nord Italia e non perde occasione per parlare la nostra lingua… aveva anche lui un piccolo scopo… comunque abbiamo trascorso una piacevole serata.
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Di nuovo per strada stavolta siamo diretti nella regione Shekhawati, famosa per le città con le case dipinte.
Il tragitto sulla nostra Ambassor bianca come sempre pulitissima, infatti Raj tutte le mattine si sveglia all’alba per lustrarla, è assolutamente tranquillo, attraversiamo come al solito un paesaggio ancora desertico. Dopo la solita tappa ristoratrice, chapati e masala the, in uno dei tanti casottini che si trovano ai lati della strada, arriviamo a Fatephur dove visitiamo un paio delle Haveli più famose e visto che non sono in buone condizioni decidiamo di andar a Mandawa dove ce ne sono altre che speriamo essere custodite in modo migliore.
Arriviamo all’ora di pranzo e per prima cosa, visto che il nostro stomaco sta ormai brontolando per la fame, ci fermiamo nella piazza principale dove voracemente ci spazzoliamo alcune squisite Samosa bagnate da una fresca Kingfisher beer.
Non abbiamo ancora messo piede in città che subito veniamo assaliti da una moltitudine di bambini… tutti che si offrono di farci da guida per la visita delle case affrescate… alcuni sono veramente petulanti e ci vuole una pazienza infinita per non trattarli in malo modo, ma poi gli sguardi si incrociano e scorgi dei bellissimi sorrisi e se è vero che mi stanno stressando e che non è giusto dargli corda perché per molti di loro è un lavoro e non un doposcuola come tentano di farti credere, non ce la faccio a trattarli male… così, alla fine cediamo a uno che avrà circa 10 anni, ci sembra quello più simpatico e meno invadente, tra l’altro si sforza anche a dire alcune parole in italiano.
Nel nostro giro visiteremo 5 o 6 Haveli, sono in condizioni migliori rispetto quelle di Fatehpur ma purtroppo sempre decadenti.
Infatti è facilmente intuibile che le città nel periodo del loro massimo splendore fossero veramente bellissime con le loro haveli finemente affrescate ma ora abbandonate al loro destino stanno progressivamente deteriorandosi.
Le Haveli erano state fatte costruire da ricchi mercanti in questa zona dell’India perché era una zona strategica per il commercio proveniente dai porti del Gujarat e dal Pakistan ma poi un po’ a causa dell’acuirsi del conflitto tra Pakistan ed India e forse un po’ perché i proprietari non trovavano particolarmente stimolante vivere in questa zona rurale, le hanno abbandonate per trasferirsi in luoghi più esotici, lo smog, la sabbia, l’incuranza delle popolazioni che hanno depredato molte case e il commercio di oggetti di antiquariato sottratto alle stesse, hanno ridotto molte Haveli in pessime condizioni.
Non si rendono conto ma con questo commercio a lungo andare ci rimetterà il patrimonio artistico della zona, quindi una grande fonte di guadagno chiamata turismo andrà progressivamente esaurendosi, inoltre servirebbe un’opera rigida anche per infondere il rispetto dell’arte alle popolazioni di questa zona, visto che molti monumenti, fortezze, presentano anche danni materiali compiuti da varie incisioni su muri o da rifiuti lasciati marcire in giro…, ma questi sono discorsi fin troppo grandi per una piccola RECE…
Comunque alcune haveli ancora si salvano, almeno quelle che sono state ristrutturate e adibite ad hotel o alcune dove qualche discendente dei mercanti abita e le mantiene in maniera dignitosa. Per accedere alle haveli si attraversa un grande portone di legno da cui ci si immette prima in un piccolo cortile poi generalmente in un altro ancora, cosa che garantiva la presenza di ambienti differenti e la sicurezza e la privacy delle donne che vi abitavano, i muri che circondano questi cortili sono finemente affrescati con temi che riguardano la mitologia della storia hindu, altri che illustrano di racconti popolari o alcuni che raffigurano stranieri accanto ad aeroplani o a invenzioni moderne, ma quelli che più mi hanno colpito sono quelli riguardanti Venezia …. non me l’aspettavo.
E' comunque molto piacevole girare in questo piccolo villaggio dove di turisti non se ne vedono molti e il nostro bambino guida si rivela veramente simpatico e estroverso, anche se nel suo piccolo aveva anche lui un interesse: farci visitare il negozio di artigianato del fratello.
A sera siamo a cena nell’hotel in cui pernottiamo, una bellissima haveli ora con il primo piano completamente ristrutturato e il secondo in fase di ultimazione, il Mandawa Heritage Hotel.
La cena non è il massimo, ci intrattiene uno spettacolino di marionette e il dopo cena lo passiamo sul tetto dell’hotel a bere del rum, sotto un cielo tempestato di stelle, mentre nel villaggio si tiene il solito addio al celibato con tanto di fuochi pirotecnici.
Una precisazione, l’hotel è ottimo ma la sveglia qui è alle cinque del mattino quando dai minareti i mhullah del villaggio declamano le loro preghiere…. una volta che hanno finito i musulmani iniziano le preghiere degli induisti. Il villaggio è piccolo e credo che questa litania bisognerà sopportarla da qualsiasi hotel.
Jaipur - Fatehpur Sikri - Agra
Il giro in Rajasthan sta ormai per concludersi, oggi siamo di ritorno nella città rosa, Jaipur, per visitare l’ennesima fortezza di questa regione, l’Amber Fort.
Questo è situato a qualche km dal centro della città e ci arriviamo in tarda mattinata. Il palazzo-fortezza si staglia imponente su una collina dalla quale domina un laghetto sottostante, che in questa stagione è praticamente asciutto e da qui si può godere di una splendido panorama delle colline che circondano Jaipur e si può ammirare anche il Jaigarh forte eretto nella collina sovrastante Amber.
La costruzione del forte è stata avviata dal maharaja Man Sigh comandante rajput dell’esercito di akbar e portato a termine da Jai Singh.
Per accedervi si può salire a piedi superando un’imponente scalinata o, per qualche decina di rupie, salire a dorso di un elefante, decidiamo di evitare il supplizio a qualche povero pachiderma e saliamo a piedi.
Una volta entrati giriamo liberamente senza seguire un percorso preciso, superiamo una serie di stanze, corridoi, cortili, torri da cui si può intuire la bellezza dell’architettura Rajput ma è tangibile anche il passaggio di orde di gente ignorante che ha lasciato il segno con le loro stupide scritte sui muri, con l’odore di urina che aleggia all’interno dei cortili un po’ più reconditi, deturpando così ciò che un tempo è stato sicuramente magnifico, fortunatamente negli anni ’90 è iniziata una lenta opera di restauro.
Nonostante tutto rimane la bellezza, la maestosità e l’imponenza del palazzo fortezza che merita assolutamente una visita.
All’uscita ci soffermiamo in un baracchino a bere del chai, il tè indiano con il latte, al tavolo con noi si siedono due ragazzi tedeschi di 20anni, che dopo un anno di volontariato a Delhi si sono concessi un tour del Rajasthan. ECCELLENTE.
Siamo di nuovo per le strade della città rosa per cercare di acquistare qualche bottiglia di rum, qualche bastoncino di incenso e dei dolcetti post cena per rinfrescare l’alito.
Dopo 14 giorni di India mi sembra diversa anche la visione della stessa città, infatti Jaipur mi pare meno caotica e più pulita rispetto al primo passaggio, certo il traffico è infernale ma le strade sono asfaltate, ci sono i marciapiedi, i negozietti e le bancarelle sono disposte sotto i porticati in maniera abbastanza ordinata e non c’è lo smog di Bikaner.
Mentre giriamo liberamente per la città inizio a sentirmi strano, fiacco e quando torniamo in hotel per darci una rinfrescata prima di cena mi faccio dare un termometro. Ho 39 di febbre…. e poco dopo devo anche correre in bagno…. a forza vado a mangiare qualcosa , mi imbottisco di antibiotico a largo spettro e prendo un multivitaminico prima di sprofondare in un sonno profondo. …AZZ… non c’è un viaggio dove per almeno un giorno non mi sono sentito male.
E’ il giorno nel quale visiteremo il Taj Mahal, una meta che sogno da tempo, non DEVO assolutamente rovinarmi la giornata.
La notte passata è stata un po’ movimentata, ma ora mi sento meglio, mi misuro la febbre e non ne ho più, la diarrea è quasi passata, decido comunque di prendere antibiotico e multivitaminico di nuovo, faccio un’abbondante colazione e di nuovo in strada diretti a Fatehpur Sikri.
Fortunatamente dopo alcune ore mi sento molto meglio anche se ancora sono un po’ spossato.
La prima tappa della giornata sarà però Fatehpur Sikri si trova già all’interno della regione dell’Uttar Pradesh.
Abbiamo lasciato il Rajasthan con il deserto, le sue magnifiche città con le loro maestose fortezze. Impieghiamo quasi 5 ore per percorrere 200 km infatti la strada che collega Jaipur ad Agra progressivamente diventa sempre più trafficata e le condizioni del fondo gradualmente peggiorano causa delle forti piogge della stagione ormai passata dei monsoni e il panorama che ci circonda passa dall’arido del deserto al verde di una regione tipicamente tropicale.
Arriviamo a Fatehpur Sikri con il sole a piombo e un caldo tremendo. Fatehpur è una città fortezza che è stata capitale dell’impero moghul sotto il regno di Akbar.
La città fu costruita in onore di Shaikh Salim Chishiti, che predisse ad Akbar l’arrivo di un erede e all’interno della bella moschea Jama Masjid o Dargar Mosque si trova la tomba di Shaikh.
La tomba è una costruzione posizionata nella parte settentrionale del grande cortile e risalta subito alla vista grazie al suo marmo bianco che contrasta con il color rosso delle restanti parti della moschea. E’ straordinariamente bella e i pannelli di marmo traforato, jali, sono qualcosa di incantevole, si è usata una tecnica che permette di vedere dall’interno all’esterno ma non il contrario. Durante la nostra visita molti mussulmani si recano all’interno della tomba per pregare e portare fiori sulla tomba per cui decidiamo di rimanere all’interno per poco tempo, non so se è così ma ci sentiamo fuori posto, ci sembra quasi di disturbare.
Facciamo un giro panoramico per la moschea poi visto che non abbiamo voglia di pagare il biglietto per entrare nel palazzo principale, forse siamo anche un po’ stufi di tutti questi palazzi, facciamo un giro esterno, tra le rovine della città che non sono ancora ristrutturate, tanto un ragazzino ci ha detto che riusciremo a vedere il palazzo anche da fuori. Non so se abbiamo fatto la scelta giusta però girare da soli tra le rovine della città è stato veramente affascinante.
Nei trenta km di strada che ci separano da Agra attraversiamo un posto tristemente famoso per gli “orsi ballerini”, di cui mi aveva già parlato Simona.
In questa zona infatti degli uomini fanno il loro spettacolino per i turisti sfruttando orsi “ammaestrati”, si fa per dire, che tenuti al guinzaglio vengono fatti danzare a forza per poche rupie… veramente raccapricciante, terribile.
Fortunatamente Raj ci ha detto che questa macabra pratica ultimamente è combattuta anche dal governo e infatti al nostro passaggio ne vediamo uno solo, speriamo bene per queste povere bestie tra l’altro in via di estinzione.
Piombiamo nel caotico traffico di Agra nel tardo pomeriggio, in tempo per cercare un hotel e per andare poi al Taj all’ora del tramonto, proprio come volevamo.
C’è da dire che il prezzo per i turisti stranieri per accedere a questa meraviglia è sette volte più alto rispetto a quello che pagano i locali, per i forestieri comunque viene offerta una serie di servizi aggiuntivi come il trasporto gratuito per spostarsi dalla zona del parcheggio all’ingresso del Taj e viene fornita una bottiglietta d’acqua, ma questo non basta per giustificare una differenza così spropositata di prezzo. Paghiamo 750 rupie a testa!!!!
Superiamo l’ingresso verso le 17.30 mezz’ora prima del tramonto. All’interno c’è ancora una folla incredibile, perché questo è uno degli orari migliori per fotografare il mausoleo e vederne il cambiamento di colore. Fatto costruire interamente con marmo bianco dall’imperatore Shan Jahan in ricordo della sua seconda moglie morta di parto nel 1631, ad opera di circa 20000 persone, fu ultimato nel 1653 e ancor oggi risulta immacolato come ai tempi in cui venne ultimato.
Per accedere al mausoleo vero e proprio, si deve superare un grande cortile adornato da dei giardini e un grandioso portale, color rosso ocra, costruito in arenaria rossa, da cui si può già scorgere l’immensa struttura, del Taj Mahal.
Mi fermo, subito dopo il portale di ingresso insieme ad altre migliaia di persone ad osservare, strabiliato, questa meraviglia: il Taj Mahal è stato costruita su di un enorme basamento di marmo e in ciascuno dei quattro angoli è stato eretto un minareto, le cui funzioni sono solo a scopo decorativo, infatti non vengono utilizzati per le preghiere, ma pensandoci bene, e dopo aver visto delle foto del solo mausoleo senza i minareti, credo proprio che in qualche modo questi completano in maniera perfetta e simmetrica tutto il complesso. La struttura centrale del taj è costruita con lastre di marmo sulla cui superficie sono scolpiti fiori che sono stati riempiti, utilizzando la tecnica della pietra dura, con migliaia di pietre preziose e le quattro identiche facciate del mausoleo sono state impreziosite, utilizzando la stessa tecnica dell’incastonamento, utilizzando questa volta delle pietre nere, con le incisioni dei versetti del Corano.
Davanti ai miei occhi il colore del Taj cambia progressivamente di tonalità, passa da un rosa arancio ad un arancio intenso, proprio durante il tramonto, per poi tornare ad essere bianchissimo quando tutto intorno diventa buio.E’ UNO SPETTACOLO!!! Non ho altre parole per descrivere questa meraviglia.
Usciamo dal taj che è già buio, dobbiamo mantenere la promessa che abbiamo fatto a Raj, cioè quella di pagargli la cena, visto che questa è l’ultima possibilità che abbiamo di poter cenare insieme.
Lasciamo a lui il compito di scegliere il ristorante dicendogli solo che ci deve portare in un posto dove si mangia cucina tipica Indiana.
Andiamo in un ristorante vicino all’albergo dove mangeremo una quantità industriale di ottimo cibo annaffiato con del vino bianco indiano di cui si può dir tutto tranne che sia buono e poco costoso.
Sfiniti, contenti per la giornata trascorsa ma stanchi, satolli per la cena ma un po’ sbronzi, si perché Raj il vino non lo ha bevuto, ci siamo quindi scolati una bottiglia in due e diversi bicchieri di Rum, torniamo in Hotel sprofondando in un sonno profondo. Non ho neanche lontanamente qualche sintomo del malessere di ieri. E ci credo!!!
Stamattina la sveglia non sarà prestissimo, infatti non abbiamo molte cose da fare tranne quella di visitare l’ennesima fortezza di questo viaggio: l’Agra Fort.
Non mi dilungo ancora sulla descrizione del forte, dico solo che effettivamente è uno tra quelli meglio conservati e restaurati che abbiamo visto, tuttora stanno facendo lavori all’interno del forte e sulle mura di cinta, il forte è effettivamente mastodontico la doppia cerchia di mura colossali, costruite in arenaria rossa, superano i 20mt di altezza e 2,5 km di circonferenza e che all’interno la struttura più bella è quella della Moti Masjid ( moschea di Perla) costruita interamente in marmo bianco. Dal forte si può godere , nebbia e smog permettendo anche di un bel panorama del Taj Mahal, che si erge maestoso al di là del fiume Yamuna.
Trascorriamo il resto della giornata prima passeggiando tranquillamente per la zona del mercato di Sadar, dove facciamo anche delle compere e dove Annalisa decide di farsi fare un tatuaggio all’hennè, entriamo in negozi di artigianato dove vendono marmo o tappeti, solo con lo scopo di vedere qualche dimostrazione pur sapendo che non compreremo nulla e il pomeriggio lo trascorriamo in compagnia dell'ormai amico Raj all’interno dei giardini che si trovano vicino all’ingresso, quello per gli Indiani, del Taj.
Passiamo gran parte del tempo seduti su una panchina ad osservare il tranquillo passeggiare della gente, il rincorrersi dei bambini e l’inseguirsi delle scimmie che fanno a lotta per un pezzo di chapati lanciato dai passanti.
Scriviamo anche degli appunti sui ristoranti, hotel, che poi Raj dovrà far avere a Bobby, il gestore dell’agenzia che ci ha noleggiato l’auto.
Ceniamo molto presto e in maniera leggera, visto che dovremo trascorrere l’intera notte in treno, ci aspetta il tragitto ferroviario da Agra a Varanasi che dovrebbe durare circa 12 ore.
Arriviamo alla stazione un’ora prima della prevista partenza del treno, con i ticket siamo già a posto così andiamo direttamente sul binario di imbarco…. C’è una moltitudine di persone indescrivibile, avevano ragione coloro che mi dicevano che per vedere la “vera” vita indiana bisogna passare da una stazione… ci sono famiglie, bambini che giocano, barboni che chiedono elemosina, persone anche anziane che trasportano sporte o sacchi improponibili, gente che si lava o mangia, animali liberamente in giro, oltre ai soliti venditori di chaì e a qualche turista zaino in spalla come noi…. Uno spaccato reale di come scorre la vita a queste latitudini.
Il nostro treno arriva con un’ora di ritardo, ben poco vista la media dei ritardi dei treni indiani e quando è ora di salutarci con Raj quasi quasi ci scappa pure una lacrimuccia. Vero Annalisa?
Abbiamo prenotato una cabina di seconda classe e con noi viaggerà una coppia di spagnoli di Barcelona che staranno in giro per l’India per un altro mese circa… beati loro.
A parte il freddo che arriva dai bocchettoni dell’aria condizionata, ci vorrebbe la giacca a vento per stare caldi, il viaggio è tranquillo e si riesce anche a dormire.
Arriviamo a Varanasi dopo 14 ore di viaggio con sole due ore di ritardo sul previsto arrivo.
Subito fuori dal treno, guardando un po’ intorno a noi ci rendiamo subito conto del caos che regna in città, abbiamo cambiato regione siamo nell’Uttar Pradesh ma la confusione è simile a quella delle città del Rajasthan. Per evitare intoppi, problemi vari e per mancanza di tempo, infatti possiamo fermarci solo un giorno a Benares, prendiamo un taxi ufficiale, si possono contattare direttamente all’interno della stazione, presso il casottino turistico.
Siamo con due giovani ragazzi che ci prospettano anche l’idea di fare un giro turistico ma siamo appena arrivati e non avendo ancora capito un gran che di Varanasi, gentilmente rifiutiamo la loro offerta e ci facciamo solo accompagnare presso l’hotel che abbiamo scelto dall’Italia: il Gange View.
Si rivelerà un’ottima scelta, è in una splendida villa in una posizione stupenda, a due passi dall’Assi Ghat con una magnifica vista sul fiume sacro per gli Hindu: il Gange.
Dopo un piccolo spuntino ristoratore siamo subito per le vie di principali della città sacra, attraversiamo a piedi alcuni ghat, ( gradini che scendono al fiume) diretti alla zona vecchia della citta, Godaulia, ma vista la distanza che ci separa dal centro saliamo su un risciò e in poco tempo ci troviamo al Dasaswmedh, il gath più importante nel centro storico.
Varanasi
Varanasi oggi è una metropoli di diversi milioni di abitanti ed è la città di Shiva, che sorge sulle sponde del fiume Gange ed è uno dei luoghi più sacri di tutta l’India, per questo i pellegrini Hindu vengono a bagnarsi selle acque del fiume per purificare la loro anima ed è un luogo propizio dove poter morire, dal momento che morendo sulla città sacra ci si sottrae al ciclo delle rinascite e sia accede direttamente in paradiso.
Neanche a dirlo, il centro è assolutamente caotico ed è un dedalo intricato di vicoli dove pullulano negozietti colorati della seta famosissima di Benares, bancarelle, ristorantini…., è pieno di vita, di venditori ambulanti, di gente che chiede elemosina e di molti turisti fricchettoni, assolutamente consigliabile girare senza meta precisa lasciandosi trasportare dagli eventi, intanto qualcosa accade sempre.
Noi, ad esempio siamo tormentati da un conduttore di risciò, ci perseguita, con il suo continuo “Hallo Italiani”, non ci ha sentito parlare non abbiamo scritto da nessuna parte che siamo Italiani ma nonostante tutto ci ha “sgamati” in due secondi, vuole per forza venderci un tour della città in risciò.
Risultato, giriamo due ore senza meta con il solo scopo di depistare il torturatore.
Torniamo all’Assi Ghat per il tramonto perché ci siamo precedentemente accordati con un barcaiolo per uscire in barca al tramonto, in modo da assistere dalla Madre Ganga al rituale dei lumini che si tiene tutte le sere presso il Dasaswmedh Ghat.
Attraversiamo molti Ghat e arriviamo a quello principale che è ormai buio e dalla barca assistiamo ad uno spettacolo incredibile, mistico, coinvolgente, di luci, di suoni, di odori, di fuoco e di acqua, dove tutti i simboli sacri dell’hinduismo vengono venerati. I gradini del ghat sono pieni di pellegrini che seduti pregano, cantano e partecipano al rituale, dalle scalinate scende verso il fiume un’aria impregnata da un forte odore di incenso che avvolge tutto e tutti, dalle piccole campane, mosse a mano dai fedeli, giunge il classico accompagnamento ossessivo dei templi indiani e nel fiume sono state accese candele ad olio che vengono lasciate galleggiare insieme a migliaia di fiori arancioni e rossi…veramente difficile descrivere l’atmosfera che si respira tutt’intorno, anche per noi turisti è uno spettacolo coinvolgente e mistico tanto che tutti sembrano rapiti dal fascino di questo rito. FANTASTICO!!
E’ sicuramente il rito più bello, più spirituale che mi sia mai capitato di assistere.
Torniamo in hotel per la cena con l’intenzione di mangiar poco e presto visto che domani mattina il nostro “amico” barcaiolo ci aspetta alle 5.30 per andare sul Gange a vedere l’alba dal fiume e vedere i pellegrini e i devoti hindu eseguire la puja al sole nascente.
La cena al Gange View è completamente vegetariana, siamo in una città sacra, ma ugualmente buona e sostanziosa. Degno di nota è il dhal la lenticchia indiana.
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Oggi è il nostro ultimo giorno in India e l’alzataccia alle 5 è traumatica ma ne varrà la pena.
Il nostro amico ci stà già aspettando in fondo alle scalinate dell’Assi Ghat, è abbastanza freddo e non c’è molta gente in giro a quest’ora.
Saliamo in barca e lentamente ci dirigiamo verso i Ghat principali di Benares, ne superiamo diversi, ognuno dei quali in memoria di una divinità, le prime persone che avvistiamo nell’ombra sono donne che si lavano o fanno il bucato.
In particolar modo ci colpisce un Ghat da dove vediamo salire del fuoco, si tratta di un “burning Ghat” cioè uno di quelli dedicati alle cremazione, il barcaiolo ci dice che è proibito fare foto o video ma che più avanti ci farà scendere nel Ghat più importante per le cremazioni. Non abbiamo nessuna intenzione di non rispettare il loro volere e deponiamo momentaneamente la nostra cara macchina fotografica nello zainetto.
Si stà facendo giorno, dal lato destro del fiume sta salendo il sole che inonda i ghat con una luce magica, attraverso una leggera foschia tinge tutto di arancio.
Già adesso molta gente si riversa sulle scalinate sacre, dove il sacro si mescola naturalmente con il profano in una serie di gesta del tutto naturali per le migliaia di pellegrini che affollano le gradinate.
I pellegrini sono di tute le età ma la maggior parte sono persone anziane che vengono qui per purificarsi dai peccati, infatti un’immersione nella madre Ganga vale molto di più di una vita condotta nel completo ascetismo e morire in questa città sacra vuol dire porre fine al ciclo delle reincarnazione perché qui il Yuma, la divinità della morte, non trova dimora. Qui sulle rive di questo fiume sacro ogni persona ha un proprio compito da svolgere, un proprio rito, ci sono quelli che seduti rivolti verso il sole lanciano la loro preghiera fatta di parole e gesti, altri che fanno le abluzioni nel fiume sacro, si immergono per la metà del corpo poi eseguono il loro rituale, cioè quello di lanciarsi l’acqua sul viso, altri che accendono le loro stecche di incenso, ci sono quelli che fanno yoga, ragazzini che già giocano e si rincorrono tra le scalinate e altri che si fanno una nuotata, c’è gente intenta a battere e lavare i proprio vestiti, altri che portano le loro offerte: candele o fiori di loto, altri intenti a lavarsi e altri più “spirituali” che si fanno una bella fumata di oppio all’alba, in un mescolarsi di situazioni e gesti mistici.
Ci sono anche i soliti animali che si trovano in giro per le città indiane, mucche, capre,cani, asini… Insomma scorre davanti ai nostri occhi il complesso spettacolo della vita Indiana. Potrei rimamere incantato ad osservare e fotografare per ore e ore.
Per questa gente tutto quello che stanno facendo è naturale, credo che i turisti proprio non li vedano, siamo solo un contorno per loro, a prescindere dal gesto che stanno compiendo.
Tra tutta questa vita anche un’altra cosa mi colpisce, il colore dell’acqua del Gange, è grigio, l’acqua sembra densa, anzi lo è infatti la quantità di inquinamento di questo fiume ha ormai raggiunto livelli insostenibili, nella zona di Varanasi il fiume è assolutamente privo di ossigeno disciolto, in città come nelle altre non c’è un sistema fognario efficiente e tutto viene raccolta dal lento cammino di questo fiume sacro e si va ad aggiungere alla quantità industriale di rifiuti che vengono lasciati sui Ghat e in riva al fiume.
Bisognerebbe cercare di portare avanti una battaglia per ridurre l’inquinamento del fiume prima che sia troppo tardi. Ultimamente ci sono organizzazioni senza scopo di lucro che stanno cercando di ripulire le acque, ma ancora è troppo poco, secondo me si dovrebbe andare alla radice, ora che l’India sta diventando una potenza economica potrebbe anche farlo, credo, e cercare di intensificare la costruzione specifica di depuratori.
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Cmq proseguiamo nel nostro giro e raggiungiamo il ghat di cui ci aveva parlato l’”amico” barcaiolo, quello delle cremazioni, si trova a poca distanza da una magnifica Moschea che troneggia sopra le rive del fiume.
Stavolta ci fanno scendere e anche adesso è assolutamente vietato fotografare o fare video, rispettiamo assolutamente il loro volere facciamo un piccolo giro tra le scalinate stracolme di legna da ardere in assoluto e rispettoso silenzio, e vediamo la, per noi macabra, conclusione di due cremazioni.
Giriamo la barca per tornare al nostro Ghat, i ghat ora sono stracolmi, abbiamo di nuovo, con la luce del giorno la possibilità di rivedere tutta la serie di gesta spirituale compiute da questa gente.
Torniamo in hotel in tempo per darci una rinfrescata, fare un’abbondante colazione, cambiare i soldi perché siamo a secco e siamo già sul taxi che ci porta all’aeroporto per tornare a New Delhi.
Veramente troppo poco il tempo passato a Benares, posso solo dire di aver visto il Gange, ma della città non abbiamo visto nulla, bisognerebbe rimare almeno altri due giorni.
Sarà per la prossima volta. BENARES ASPETTACI!!!
Poco dopo la salita nel taxi vedo Annalisa che mi guarda con gli occhi sgranati…. La sua espressione non mi piace per nulla, infatti mi confessa di aver perso la busta con i regali… e soprattutto con il Sitar… l’abbiamo lasciata in treno, ci siamo accorti con 48 ore di ritardo.
Abbiamo veramente “la testa per spartire le recchie” come si dice ad Ancona.
Spero di aver tempo di andare in un market a Delhi e di comprarne uno simile.
Il volo che ci riporta a Delhi arriva in orario e fuori dall’aeroporto c'è il tassista dell’hotel Ajanta che ci sta aspettando. Ancora è giorno e voglio andare al mercato di Paharganj per comprare quello che abbiamo perso. Speriamo bene.
Dopo aver attraversato la parte nuova della città con strade a tre corsie per ogni senso di marcia e innumerevoli hotel di alta categoria, un’infinità di cantieri edili e stradali e l’ormai consueto caos delle strade indiane, arriviamo nella città vecchia dove è locato l’hotel. Si tratta di un grande palazzo probabilmente ristrutturato da poco, in buone condizioni e vicino al bazar di Pahargani. Ottimo.
Il tempo di depositare i bagagli che siamo subito per le viuzze del mercato alla disperata ricerca di un sitar.
Dopo un giro infruttuoso riusciamo a trovare un negozietto di strumenti musicali che ne ha un paio in vetrina, senza pensarci due volte entriamo e, anche se qualitativamente meno belli e soprattutto nuovi ma almeno funzionanti, ne ricompriamo un altro, ad un costo tre volte più basso.
In questo mercato si può trovare di tutto, ogni oggetto che abbiamo visto nei mercati delle città del tour si può facilmente ritrovare e a dei costi veramente molto più bassi.
Consiglio ai prossimi viaggiatori di prendere in considerazione di effettuare acquisti nella capitale indiana.
Spendiamo ancora un po’ del nostro tempo a zonzo in questo bazar, cercando di finire gli ultimi spiccioli di rupie che abbiamo in tasca in acquisti vari e regalini che è già buio e torniamo in hotel per la cena.
LA CENA! Più che una cena è un’abbuffata di diverse squisite pietanze, al costo di 3 euro a testa mangiamo mezzo pollo tanghi, un piatto di mutton con riso Birmani, una patata arrostita al forno tandori, alcuni chapati, un paio di naan, 2 coca cola e una bottiglia di acqua, e per finire due chaì il tutto in un bell’ambiente elegante e corredato da un’ottimo servizio.
Domani all’alba avremo il volo che ci riporterà in Italia…… purtroppo.
INCREDIBILE INDIA, poche parole per sintetizzare quello che ci è rimasto:
"...Chi AMA l'India lo sa: non si sa esattamente perché la si ama. E' sporca, è povera, è infetta; a volte è ladra e bugiarda, spesso maleodorante, corrotta, impietosa e indifferente. Eppure, una volta incontrata non se ne può fare a meno. Si soffre a starne lontani. Ma così è l'amore: istintivo, inspiegabile, disinteressato..."
Tiziano Terzani.
Prima parte
Le foto del mio viaggio in Rajastan.
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1998 - 2022 Marco Cavallini
ultimo aggiornamento 20/10/2021