Come al solito, partiamo dall’organizzazione del viaggio.
L’India certamente non era la nostra prima scelta, anzi probabilmente proprio non la prendevamo neanche in considerazione fino a qualche mese fa, poi la volontà di evitare anche quest’anno la profilassi antimalarica, ci ha fatto restringere le ricerche sulla meta ed abbiamo iniziato a considerare l’ipotesi Rajasthan e Laccadive per poter fare alcuni giorni di mare, visto che nell’ultimo viaggio in Perù qualche giorno di relax al mare un po’ ci era mancato.
In più altro punto a favore su questa meta è data dalle condizioni meteo ottimali per il periodo di novembre.
Così intorno alla fine di giugno iniziamo a ricercare informazioni in rete.
Subito capiamo che se vogliamo fare un giro serio in Rajasthan dovremo anche quest’anno rinunciare al mare, infatti oltre al costo esorbitante per un soggiorno alle Laccadive c’è anche un problema di logistica, infatti si perderebbe troppo tempo per raggiungerle.
Bene al lavoro e grazie san Google, la guida Lonely Planet e alcuni frequentatori di IHV, tra cui cito MrA, Federicop e Marcaval si proprio lui quello che ci ha già aiutato per il Madagascar e il Perù racimoliamo un’infinità di informazioni.
Stavolta una grande mano c’è la offre anche Simona, alias Stella che avevamo aiutato per il suo viaggio in Madagascar.
Ci piacerebbe girare per conto proprio, con i mezzi locali, autobus e treno, ma con soli 17 giorni decidiamo che la cosa migliore è affidarsi ad un’agenzia del posto per affittare un’auto con driver per girare in Rajasthan poi, con un treno notturno, andremo a Vararanasi ( Benares) e da lì con un volo interno torneremo a New Delhi.
Chiediamo diversi preventivi in rete, più o meno tutti hanno lo stesso importo, alla fine scegliamo Tour Passion un’agenzia il cui gestore, Bobby, parla anche un buon Italiano, proprio questo motivo ci ha fatto scegliere la sua agenzia.
Bobby mi ha poi detto che ha imparato l’Italiano perché per molto tempo ha lavorato come guida per i Viaggi del Ventaglio fino a quando, qualche anno fa ha deciso di mettersi in proprio. Ora possiamo dire che la nostra scelta si è dimostrata ottima.
Non ci resta che comperare i biglietti, scegliamo Luftansa, anche se non è la meno costosa, ma parte da Falconara a 3 Km da casa nostra e questo ci fa molto comodo. I biglietti ci costano 870 euro cadauno.
Mi sono già dilungato troppo con preparativi, veniamo ora al viaggio vero e proprio.
Anzi no, partiamo dal 11/11, il giorno del volo per New Delhi, infatti all’aeroporto di Falconara, la gentile donzella al desk per produrre i biglietti ci dice che non può emettere il biglietto per il volo internazionale perché il nostro volo da Falconara a Munich è in ritardo di 50 min. e non faremo mai in tempo a prendere la coincidenza.
Dopo un’animata discussione la convinciamo ad emettere ugualmente i biglietti internazionali, poi una volta a Monaco vedremo il da farsi.
Il risultato è che riusciamo ad imbarcarci nel volo internazionale in tempo in tempo, ma Luftansa non fa in tempo a imbarcare gli zaini, a destino ne arriva uno solo, tra l’altro quello meno importante, infatti rimane a spasso per l’Europa quello con i medicinali.
Vabbè ci rassegniamo e facciamo denuncia di smarrimento di uno zaino al desk dell’aeroporto.
Problema: dove ci recapiteranno lo zaino? Noi non abbiamo un tour con le tappe già prestabilite, a parte alcuni hotel già prenotati, per cui non potremo essere rintracciati…
contatto telefonicamente il ragazzo dell’agenzia di Delhi con cui abbiamo affittato l’auto per chiedere come possiamo fare, se è meglio che rimaniamo a New Delhi un altro gg e poi passare a prendere lo zaino l’indomani mattina e iniziare il giro con un giorno di ritardo ma Bobby ci dice di lasciare il suo numero di telefono alla Luftansa in modo da far recapitare lo zaino a lui che poi in qualche modo ce l’avrebbe fatto avere.
Che fare? Ci fidiamo di Bobby e si parte, il Rajasthan ci aspetta.
Fuori incontriamo il nostro driver, è un ragazzo di 29 anni di nome Raj, è sposato e ha due bambine.
L’auto in cui saliamo è un’Ambassador bianca degli anni ’70 vagamente somigliante ad un vecchio 1100 FIAT, pulitissima e tirata a lucido come poche ne ho viste, dotata di aria condizionata ed è comodissima. Pochi minuti e siamo già nel caos infernale delle strade di Delhi. Certo la strada è a quattro corsie a doppio senso di marcia, ma si viaggia a 20Km all’ora infatti si incontrano risciò, tuc-tuc, biciclette, motorini, vespe, lambrette e qualsiasi due ruote degli anni 60-70 che a suo tempo probabilmente erano a spasso in qualche città europea ed ora trasportano tre o quattro persone indiane, ci sono camion colorati, il cui abitacolo è ornato di fiori bianchi, arancioni, gialli, quasi tutti sono senza lo sportello dalla parte dell’autista e normalmente la parte posteriore del camion è dipinta e c’è una scritta: “ Please Horn”, infatti il frastuono dei clacson e relativo inquinamento acustico sono a livelli folli, tutti suonano ripetutamente, in un incrocio, per un sorpasso, quando si attraversa un centro abitato, il tutto senza un minimo di rispetto per le norme della strada, sui semafori o sugli incroci, vige la legge del più forte si va con cautela e si spera che non accada nulla, ci sono autobus talmente vecchi e malridotti che mi chiedo come possano riuscire ancora a camminare e stare per strada pieni ma talmente pieni di gente da far paura, senza considerare che ai margini del bordo stradale si possono vedere vacche, asini, cammelli, capre…
insomma mi sembra di essere capitato in una gabbia di matti.
Questa mia ipotesi viene confermata da un ragazzo indiano, che incontriamo in una stazione di servizio dove facciamo gasolio, che, in perfetto italiano ci dice che vive a Milano da dieci anni e di essere sconvolto da quello che ha visto nelle strade al suo ritorno in patria, dieci anni fa, secondo lui non c’era neanche un decimo del traffico e del caos di adesso.
Va bene riprendiamo il viaggio verso Jaipur, la capitale del Rajasthan, è una città di diversi milioni di abitanti ed è comunemente chiamata la città rosa, il perché lo si capisce immediatamente, tutti i palazzi all’interno delle mura sono dipinti di colore rosa, infatti nel 1876 il maharaja Ram Singh fece verniciare tutti i palazzi di questo colore in segno di ospitalità verso il principe di Galles in visita alla città.
Arriviamo che è tardo pomeriggio e dopo una breve sosta per vedere da fuori l’Amber Fort, che visiteremo al successivo passaggio per Jaipur dopo 12 gg, siamo già nel caos del traffico del centro città.
La città vecchia è ancora cinta da mura merlate, anch’esse dipinte di rosa, ed ha diverse porte di accesso, le più importanti sono: Chandpol, Ajmeri,Sanganeri.
All’interno dei suoi larghi viali si possono vedere carretti carichi di frutta, spezie o legumi, alcuni trainati manualmente e altri trascinati stancamente da cammelli, asini o cavalli, ai lati delle strade, prevalentemente sotto i portici ci sono negozietti di tutti i tipi, da quelli che vendono artigianato locale come dipinti e oggetti in legno, argento, stoffe oppure piccole bancarelle che vendono fiori colorati o turbanti in mezzo al traffico impazzito di motorini, automobili, risciò, biciclette, autobus che suonano all’impazzata, dove in qualche modo cercano di destreggiarsi, asini, vacche, capre, cammelli, cani e uomini, quasi tutti vestiti in abiti tradizionali con tanto di sgargiante turbante colorato.
Scendiamo nei pressi del City Palace, che visiteremo, quando ci imbattiamo in una sfilata di sole donne hindu che escono dall’ingresso del palazzo.
Sono tutte, ma proprio tutte, vestite con abiti tradizionali di color giallo arancione e tutte portano in testa una brocca che presumibilmente contiene acqua o latte, sfilano davanti ai nostri occhi accompagnate da carri che suonano musiche Rajasthane.
Rimaniamo alcuni minuti rapiti ad osservare questo spettacolo facendo decine di foto, poi ci dirigiamo a piedi all’ingresso del Palazzo.
E’ un vasto complesso suddiviso in una serie di giardini, cortili ed edifici, e rimaniamo particolarmente colpiti dalle raffinatezza delle lavorazioni di quattro porte che si trovano all’interno di uno dei vari cortili che attraversiamo, una delle quali, la Peacock Gate è dedicata al pavone, animale sacro.
Visitiamo alcuni degli edifici aperti al pubblico, mi ricordo il Diwan-i-Am e Diwan-i-Khas e il Mubarak Mahal..
E’ quasi l’ora del tramonto e siamo veramente stanchissimi per cui decidiamo di andare a riposarci nell’hotel che ho prenotato dall’Italia via internet.
Percorriamo di nuovo in auto il centro città, ora al tramonto i colori degli edifici sono ancor più carichi di colore e maggiormente suggestivi, ci fermiamo a fare delle foto alla facciata del Hawa Mahal o palazzo dei venti.
Si tratta di un palazzo di cinque piani che si affaccia sulla via principale della città, è definito un esempio dell’architettura di stile Rajput infatti ha raffinate finestre in arenaria rosa realizzate a nido d’ape. Sulla guida c’è scritto che questa struttura fu ideata per consentire alle donne della casa reale di osservare lo svolgimento delle processioni e della vita quotidiana. Purtroppo l’interno non è agibile e quindi ci dobbiamo accontentare della facciata.
L’hotel che abbiamo scelto è carino per cui decidiamo di restarci anche per cena visto che c’è un ristorante.
Siamo al primo impatto con la cucina indiana, mangiamo del mutton ( pecora o agnello) con una salsa al curry, del riso bianco e pollo tandori e chapati accompagnato da pepsi e acqua. Rimaniamo entrambi favorevolmente colpiti da questi sapori.
Siamo a letto prestissimo, ma altrettanto presto siamo svegliati dal suono di una banda che è nei pressi dell’hotel, ci affacciamo in pigiama e assistiamo ad una strana manifestazione.
Ci sono delle persone che trasportano sulle loro spalle dei lumi che peseranno 50 Kg, un carretto che attaccato ad un generatore emette una musica assordante, ci sono degli uomini vestiti con abiti da banda paesana che suonano trombe e chitarrine, della gente che balla ed altra che sfila in corteo e in fondo alla sfilata un uomo su un cavallo decoratissimo vestito di bianco e ogni tanto qualcuno spara dei razzi e petardi.
Stupiti da quello che vediamo, chiediamo in giro di che cosa si tratta, un cameriere dell’hotel ci dice che è il rito che precede un matrimonio, successivamente in giro ne incontreremo a decine. Molto molto carino e caratteristico.
Pushkar
Dopo un’abbondante colazione siamo già in strada diretti a Puskar per vedere la piccola città sacra durante i giorni della Camel Fair.
Usciamo dalla città rosa e prendiamo la strada diretta a Jodhpur, dobbiamo percorrere circa 300 km fino ad Ajmer poi fare una piccola deviazione verso Pushkar. La strada ha poco da invidiare ad una nostra autostrada, si paga anche il pedaggio, non credevo di trovare strade in così buono stato e soprattutto non credevo di trovare così tanto traffico, soprattutto di camion, si capisce che l’India, almeno in questa zona è in forte sviluppo economico.
Arriviamo a Pushkar all’ora di pranzo e andiamo subito nella zona riservata ai campi tendati dove l’agenzia ci ha prenotato una tenda per due notti, infatti siamo stati costretti a prenotare in anticipo perché in questo periodo è praticamente impossibile trovare da dormire, se non si prenota con alcuni mesi di anticipo visto che Pushkar è una piccola città di 20 000 abitanti, con modeste strutture turistiche e durante la Camel Fair invece si raggiungono anche le 200 000 persone tra visitatori e cammellieri.
La Camel Fair è un vero e proprio mercato di animali, è una delle manifestazioni più popolari e importanti di tutto il subcontinente.
Nei 5 giorni della fiera avvengono trattative, compravendite di circa 25 000 cammelli e arrivano circa 50 000 cammellieri da tutto il nord ovest dell’India ogni anno.
In molti villaggi rurali dove non c’è né acqua né luce, il cammello rappresenta l’unico mezzo di trasporto, sia per le merci che per le persone, diventando così indispensabile per la sopravvivenza.
Ecco perchè i cammelli vengono trattati benissimo, per l’occasione vengono anche agghindati e ornati, lisciati e profumati, sia per venerazione ma anche per renderli più appetibili alla vendita.
Ho letto diverse cose su internet e in televisione riguardanti la Camel Fair, sono molto incuriosito di vedere quello che accade durante questa fiera ma quello che mi si presenta davanti va oltre tutte le più stravaganti e sfrenate immaginazioni.
Ma la Camel Fair non è solo compravendita di cammelli, in questa fiera vengono contrattate anche vacche e cavalli e in tutta la città si respira un’aria quasi carnevalesca.
Infatti passeggiando per le vie di Pushkar, che durante la fiera sono chiuse al traffico, si fa per dire perché tra la folla di viaggiatori occidentali e moltissimi turisti locali, sfrecciano incuranti della gente migliaia di moto, ci sono banchetti ad ogni angolo, si vende di tutto, dalle collanine ai flauti, dalle marionette alle spezie, dai legumi alla frutta, dagli attrezzi specifici per i cammelli alle stoffe, da negozietti che vendono oro o argento ai ristorantini che cucinano ed espongono le loro prelibatezze, rendendo l’aria speziata, insomma l’elenco potrebbe essere infinito e l’obiettivo non sa dove posarsi.
In una zona, tra il centro della città e la zona periferica, quella dove vengono radunati i cammelli c’è una specie di parco divertimenti con tre giostre panoramiche alte una ventina di metri, sulla cui sicurezza non scommetterei neanche una rupia, giostre più piccole adatte a bambini, stand o meglio gabbiotti dove si esibiscono gli eunuchi al ritmo assordante e distorto di musiche tradizionali sparate ad un volume allucinante da casse fatiscenti, altro che le nostre discoteche, contemporaneamente in un campo da cricket avvengono sfilate e manifestazioni di cammelli e tutta la zona è avvolta da una fitta polvere che si alza dalle strade sterrate e dalle zona dove sono piazzati gli animali, insomma sembra proprio di essere nell’ombelico del mondo.
Comunque lo spettacolo più bello è offerto dalla folla, è veramente difficile descrivere la quantità di gente, quasi tutti vestiti con abiti tradizionali dai colori sgargianti, è un moto continuo, ininterrotto dall’alba fino al tramonto.
Come ho già detto Pushkar non è solo Camel Fair ma è anche un’importante centro di pellegrinaggio hindu, una città sacra che si sviluppa sulle sponde di un piccolo lago attorniato da innumerevoli templi, quasi tutti bianchi e ghat dove si possono incontrare molti sandhu ( uomini che perseguono la ricerca spirituale).
Noi abbiamo trascorso qui due giorni intervallando momenti trascorsi nella zona vera e propria della fiera ad osservare i cammelli e i cammellieri nelle loro contrattazioni, altri stando sulle rive del lago seduti sui gradini ad osservare lo svolgersi della vita intorno a noi. Vediamo gente che prega, altri che si purificano facendo il bagno e altri ancora che semplicemente si lavano e poi lavano anche i loro vestiti. E’ uno spettacolo vedere quei turbanti colorati, solitamente arancioni, rossi o bianchi, che, una volta lavati, vengono messi ad asciugare al sole, appesi nei i rami degli alberi o semplicemente tenuti per le loro estremità, svolazzare nel vento caldo della mattina e sullo sfondo vedere l’acqua azzurra del lago, i templi bianchi e le scalinate dei ghat e osservare i loro possessori, per lo più gente grande con grandi baffoni attorcigliati aspettare pazientemente che questi si asciugano.
Altri momenti li abbiamo trascorsi visitando l’interno di alcuni templi tra cui i più degni di nota sono il Brahma Temple e il tempio in onore di Krisna.
Ho ancora negli occhi l’immagine delle donne Rajasthane, con i loro vestiti rossi e con il velo sulla testa che accendendo degli incensi pregando davanti ad una statuetta di Shiva riposta dentro una nicchia ricavata da una colonna di marmo del Brahma Temple.
Abbiamo anche deciso di trascorrere il tramonto della prima sera nei pressi del lago, per vedere il cambiamento di colore dei templi, passano da bianco durante il giorno, ad arancione intenso poi giallo e di nuovo bianco dopo il tramonto, e la seconda sera nella vallata desertica, per osservare anche qui i colori degli animali, della gente e del deserto, tutto si tinge di arancione e tutto sembra rimanere sospeso nel vuoto, come incantato, grazie soprattutto alla sabbia che luccica rendendo l’atmosfera magica. Difficilmente dimenticherò questo spettacolo.
Tra le cose “strane” che mi hanno colpito in questo primo impatto con l’India ci sono i molti ragazzi ma anche uomini adulti che ho visto passeggiare tranquillamente tenendosi per mano, questo gesto per loro è naturale ed è significato di rispetto, amicizia, affetto, è successo più volte che i ragazzini più piccoli mi guardassero in modo strano, ammiccando e sorridendo, perché, spesso in quel caos ero io che andavo per mano con Annalisa.
Certo che non è sempre vero che tutto il mondo è paese.
Abbiamo anche visto molti handicappati in mezzo o ai lati della strada chiedere l’elemosina, in principio non ci abbiamo fatto caso, ma poi vedendone molti, troppi, abbiamo chiesto il perché a Raj che ci ha dato una risposta che ci ha lasciato esterrefatti, quasi tutti sono poverissimi e per poter raccogliere più soldi si deturpano il corpo, o peggio ancora lo deturpano ai loro figli, tagliando i tendini delle gambe o delle braccia, divenendo così dei tronchi umani, per essere più visibili e quindi mettere insieme qualche denaro in più, veramente straziante.
La sera, nel campo da cricket l’ente per il turismo del Rajasthan organizza balli e danze tradizionali, noi entrambe le sere, prima di tornare al campo ci facciamo una scappatine per assistere gratuitamente allo spettacolo di suoni e danze.
Entrambe le sere verso le nove ritorniamo al campo e incontriamo Raj, che di nascosto, ci offre del rhum, lo fa di nascosto perché essendo Pushkar una città sacra è proibito l’uso di alcolici e di carne, ma lui che aveva comprato una piccola bottiglia di Rhum ad Ajmer e parlando con noi ha capito che ci avrebbe fatto piacere assaggiarlo ci invita fuori dal campo, dietro l’ambassador e ce ne offre un bicchierino.
Non credevo di trovare del Rhum in India, certo non è il “Zacapa” del Guatemala, ma è anche vero che il regno dei Rhum si trova dall’altra parte del mondo e bisogna sapersi accontentare, inoltre questa marca, “Old Monk”, non è per niente male.
Chittorgarh - Udaipur
L’uscita da Pushkar la mattina successiva è tutt’altro che agevole, infatti gran parte della gente locale se ne torna ai propri villaggi e gran parte dei turisti se ne vanno visto che ormai la Camel Fair è finita, facile immaginare che un piccolo paesino con poche strade di accesso diventi un ingorgo pazzesco.
Insomma dopo due ore circa di strada sterrata siamo di nuovo sulla strada principale diretti ad Udaipur, ma prima faremo una deviazione verso Chittorgarh dove in cima alla collina che domina la città si staglia una grande fortezza.
Ci arriviamo nel primo pomeriggio dopo aver fatto una sosta in un ristorante per poter mangiare qualcosa, inizio ad avvicinarmi alla cucina indiana e inizio a scoprire che per me è particolarmente buona, come approccio con la carne ho mangiato del chicken Tandori veramente ottimo una discreta birra e per chiudere dei semini verdi, anice, mischiati con dei cristalli di zucchero per purificare l’alito. Veramente squisito.
La città in se stesso non ha nulla di particolare, ma dal basso la vista della fortezza che la domina è spettacolare.
Per raggiungere il cuore della fortezza si sale per circa due Km superando una serie di ripidi tornanti, oltrepassando 7 gate, porte, giungendo quindi sul lato occidentale alla porta principale la Rampol.
La fortezza oggi non è in buone condizioni se si escludono i palazzi principali, le torri e i templi che sono conservati con cura, ma le rovine sono talmente vaste e imponenti che riescono a testimoniare bene la grandezza di questo forte fondato intorno al XIV, che per ben tre volte è stato saccheggiato da nemici più forti e in tutte le occasioni gli assalti terminarono secondo la classica tradizione rajput che prevedeva il Jauhar (ossia il suicidio collettivo): gli uomini con gli abiti del martirio, una volta constatato che non sarebbero riusciti a difendere il forte, uscivano a cavallo andando incontro a morte certa mentre le donne e i bambini che rimanevano all’interno delle mura si immolavano su un’enorme pira funeraria.
Queste gesta epiche rendono Chittor speciale per molti abitanti della zona.
Nel nostro breve giro visitiamo prima i templi giainisti, che sono bellissimi, le loro colonne tutte scolpite con immagini sacre finemente lavorate, le loro cupole altrettanto lavorate, il profumo di incenso che pervade tutta l’aria circostante con i pellegrini che si raccolgono in preghiera dopo aver lasciato la loro offerta alla divinità del tempio, ma rispetto ai templi giainisti che vedremo a Ranakpur sono poca cosa.
Visitiamo poi la torre della Vittoria, che con i suoi nove piani raggiunge l’altezza di 40 mt circa e dalla cui sommità si gode di una bella veduta dell’intero complesso.
E’ bello passeggiare tra queste rovine soprattutto perché in giro di turisti stranieri ce ne sono pochi, visto che la meta è fuori dalle rotte classiche del giro in Rajasthan, i visitatori sono quasi tutti indiani di cui la maggior parte sono bambini, che ogni volta che ci incontrano non perdono l’occasione di salutarci con i loro amichevoli “HALLO”.
E’ già tardo pomeriggio e dobbiamo ancora percorrere 140km di strada prima di raggiungere Udaipur, dove passeremo le prossime due notti.
In poco tempo siamo già nella strada principale a 2 corsie per ogni senso di marcia e stavolta veramente dopo il tramonto mi cago sotto. Si perché in una strada dove si può andare anche a 80/ 90
Km/h, con le luci della nostra auto molto molto basse, praticamente vediamo si e no a 20mt dal nostro muso, vedersi venire incontro un cammello con il suo carretto che trasporta quintali di frumento e non poter aggirarlo perché un’altra auto ci stava superando non è proprio una bella sorpresa… devo dire che ho chiuso gli occhi e quando li ho riaperti dopo che Raj si era attaccato al clacson e ai freni eravamo miracolosamente passati. FIIUUUU…
Arriviamo a Udaipur verso le sette e ci troviamo incastrati in un ingorgo grottesco, ad un certo punto la nostra auto non riesce ad andare né avanti né indietro, si trova accerchiata da decine di motorini, la strada è stretta e ai lati ci sono molte file di moto e motorini parcheggiati, in senso opposto viene una jeep, e non c’è modo di districarsi, tra noi e il fuoristrada ci si mette anche un asino, che si trova al momento sbagliato nel punto sbagliato, cosa ci facesse lì poi proprio non me lo spiego.
Aspettiamo che la povera bestia, dopo oltre 10 minuti di lamenti e sguardi terrorizzati, in qualche modo aiutato da noi a da altri passanti riesca a divincolarsi, poi, con l’aiuto di altra gente spostiamo alcuni motorini e dopo molte manovre riusciamo a muoverci. Che FATICACCIA.
Arriviamo all’hotel, il lake Pichola hotel che abbiamo scelto grazie alla LP e al consiglio di Simona, alle otto di sera praticamente sfiniti, in tempo per una sana e ristoratrice doccia e per un’ottima cena nel ristorante all’interno dell’hotel.
Il Lake Piccola Hotel è situato praticamente in riva all’omonimo lago è una bella struttura, magari un po’ vecchiotta, avrebbe bisogno di qualche piccolo ritocco, ma i 25 dollari a notte per una stanza sono comunque ottimamente spesi.
Il ristorante è ottimo e la cena sarà superba, io mi faccio fuori un ottimo Laal Mas un piatto di carne di montone con una salsa speziata abbastanza piccante, che farebbe impallidire il Zighinì con riso che a volte mangio dalle mie parti, contornato da una patata cotta al forno Tandori e da chapati tutto veramente ottimo, Anna invece si fa fuori del Kebab con relativo contorno… slurp, veramente notevole, tutto serviti e riveriti per una spesa di 460 Rps… infine per non farci mancare proprio nulla un bicchiere di quell’ottimo rhum “Old monk” che beviamo su un balconcino dell’Hotel in riva al lago… MANGIATI DALLE ZANZARE.
La mattina siamo in giro per la città di buon’ora dopo una lauta colazione al solito terrazzino del Lake Pichola Hotel, infatti vogliamo fare diverse visite, quindi dobbiamo muoverci, inoltre è anche ora di iniziare a comperare qualcosa, soprattutto vestiti, visto che dello zaino disperso ancora neanche l’ombra, in più dobbiamo anche comprare dei rullini nuovi visto che il pacco è disperso con lo zaino. I rullini, non perdeteli perché a queste latitudini costano un patrimonio, circa 4 dollari l’uno un vero e proprio furto.
Raj, l’autista dapprima ci accompagna ai templi giainisti famosi soprattutto per la statuetta nera raffigurante Vishnu, ma dopo aver superato una lunga scalinata ed essere entrati nei templi vediamo che questi sono già pieni di turisti il che toglie quel tanto di sacro e mistico che si può respirare in questi templi, così subito dopo aver visto la statuetta nera lasciamo il complesso abbastanza delusi e optiamo per andare subito a visitare lo splendido City Palace che dall’alto di una collinetta proprio sopra il lago domina la città, denominata anche la “Venezia d’Oriente”…
Il complesso è molto grande e per girarlo impieghiamo almeno 2/3 ore. Stavolta, anche se di turisti ce ne sono proprio molti, sono soprattutto gruppi di pullman con comitive Italiane e Tedesche, la visita è molto interessante e il palazzo è veramente molto bello.
Non mi dilungo sulla descrizione delle sale che oggi sono adibite a museo mi limito solo a dire che è affascinate girare il palazzo tra sale riccamente decorate con lavorazioni in vetro o terracotta, altre dove si possono osservare rappresentazioni di pavoni, oppure quelle che custodiscono collezioni di miniature e altre opere pittoriche di artisti Rajput.
Comunque la cosa più bella secondo me sono le torri e i balconi e le cupole che sormontano il palazzo e dai quali si può godere di una magnifica vista della città e del lago.
Inoltre, in questo caso, il tutto è mantenuto in perfette condizioni.
Usciamo dal palazzo, dove Raj ci sta pazientemente aspettando scambiando due chiacchiere con altri autisti, ci dirigiamo prima a visitare dei giardini, Saheliyon-ki-Bari che si trovano nella zona nord della città poi a Bhartiya Lok Kala Museum un piccolo museo-fondazione per la salvaguardia e la promozione delle arti popolari. Qui a 39 anni per la prima volta nella mia vita, dopo aver fatto un giro attraverso stanze dove si possono vedere esposizioni artigianali tipiche, foto storiche, abiti tradizionali antichi, oggetti e statue della cultura Hindi, assisto ad uno spettacolo di marionette tanto famose nella cultura locale.
Lo spettacolino è molto carino e divertente, ma è ancor più gustoso vedere i visi incantati dei bambini locali che assistono divertiti all’esibizione.
Usciamo che è già pomeriggio, la mattinata ci è volata e non abbiamo mangiato nulla…ora abbiamo FAME!
Siamo stanchi di vedere occidentali in giro chiediamo quindi a Raj di portarci in un ristorante dove poter mangiar cibo caratteristico senza la presenza di turisti occidentali.
Ci accompagna al Garden View che si trova ai bordi del centro città.
Ha mantenuto la parola, siamo solo noi di occidentali e credo una spagnola, mangiamo del cibo esclusivamente vegetariano ad un prezzo fisso assolutamente ridicolo per la quantità che ci viene servita, tra l’altro ottima, spendiamo in due 120Rps, neanche 2,5 EURO!!! Squisito.
Satolli come non mai decidiamo di farci una camminata a piedi senza meta nel centro e scopriamo che la città è molto tranquilla e si può girare senza l’assillo di esser chiamati o toccati ad ogni passo tanto che alla fine aspettiamo il tramonto su una panchina del curato parco principale della città, Sajjan Niwas Garden, attorniati da una moltitudine di bambini vocianti che giocano tra loro sotto lo sguardo vigile dei lori genitori.
Torniamo in albergo stanchi dopo una giornata così intensa, per darci una rinfrescata e poi andare a cena al ristorante Ambrai di cui abbiamo sentito parlare molto bene e letto benissimo sulla Lonely Planet. Si trova poco distante dal hotel dove soggiorniamo anch’esso in riva al lago, non è che sia bellissimo ed è molto spartano, ma quando arriviamo scopriamo che è già tutto pieno, la pubblicità sulla LP è una manna dal cielo a queste latitudini, decidiamo quindi di non aspettare e tornare al ristorante del Lake Pichola dove anche stasera mangiamo benissimo e spendiamo poco.
Ranakpur- Jodhpur
Dopo la solita colazione in riva al lago saliamo sulla nostra Ambassador diretti prima a Ranakpur poi a Jodhpur dove trascorreremo la notte.
Ranakpur è un complesso di tempi giainisti distanti 60 km da Udaipur , situati in una verde vallata nel mezzo della catena montuosa Aravalli.
Durante il tragitto superiamo diversi pozzi d’acqua, uno di questi ci incuriosisce perché nei pressi vediamo un tipo vestito di tutto punto con tanto di turbante, è seduto su uno sgabello di legno e sembra fare il girotondo, invece è trainato da una vacca che grazie ad un ingranaggio dentato e ad un sistema di carrucole pesca l’acqua dal pozzo con l’aiuto di alcune anfore decorate che poi rovesciano il loro contenuto in uno scavo sul terreno che andrà ad irrigare le coltivazioni.
Certo era lì appositamente per richiamare i turisti, la sua impomatatura non lascia alibi, però il sistema è funzionale.
Arriviamo a Ranakpur pochi minuti prima che i templi aprano ai turisti, infatti ora all’interno c’è la preghiera, da fuori si capisce subito che non possono che essere splendidi.
E Invece NO!!!… sono molto ma molto di più: SPETTACOLOSI.
I templi sono costruiti con marmo bianco, il complesso principale è costituito da tre templi, il Chamukha, Neiminath e Parasnath Temple, è costituito da 29 sale, sorrette da ben 1444 colonne, ognuna diversa dall’altra, tutte raffinatamente lavorate con incise le raffigurazioni delle divinità.
Tra l’altro una di queste è anche inclinata, che sia stata di ispirazione per la ns torre di Pisa?
Passiamo due o tre ore estasiati a guardarci in giro e ad osservare così tanta bellezza.
Ringrazio pubblicamente Marco C. alias Marcaval che tra i consigli che mi ha fornito mi ha detto di non perdere assolutamente la visita a questo complesso.
Siamo di nuovo sull’Ambassador diretti alla nostra prossima meta ed è ora di pranzo, Raj, che è un ragazzo sveglio, ha capito perfettamente che non vogliamo andar a finire in ristoranti per turisti e si ferma quindi in una specie di auotogrill dove già molti camionisti stanno pranzando.
Anche oggi quando è ora di pagare si alza lui dal tavolo e va a pagare per noi… dice che se andassimo noi il costo del pranzo sarebbe almeno triplo. GRAZIE e …. a buon rendere Raj.
Arriviamo a Jodhpur e ci mettiamo alla ricerca di un alberghetto per la notte, le prime scelte che abbiamo in mente già al completo e va a finire che ci fermiamo in un hotel dove spendiamo 10 euro, di per sé non sarebbe proprio brutto ma sulla strada c’è una fogna a cielo aperto e l’odore non è proprio gradevole.
Andiamo subito a fare un giro in centro e scopro che la città è veramente invivibile, oltre al solito pazzesco movimento di gente, auto, moto, motorini, biciclette… c’è un tasso di smog allucinante, si riesce a fatica a respirare, qualche indiano indossa addirittura la mascherina. Ragazzi altro che targhe alterne da queste parti, dovrebbero fermare tutti i mezzi per 10 anni per ripulire un po’ l’aria.
Andiamo nel fulcro della città presso la Torre dell’orologio dove inizia l’animato mercato di Sardar. Il mercato si dirama in un’infinità di viuzze dove si possono comprare verdure, spezie, prodotti artigianali, antiquariato e argenteria ed è un luogo affascinante per girare senza una meta fissa.
Stanchi del traffico e del caos, però, ci dirigiamo verso una zona più tranquilla del mercato, la zona della frutta e delle spezie e finiamo per trascorrere molto tempo in un negozietto che vende spezie di tutti i genere e tipi… prettamente turistico, anche il prezzo delle spezie, ma i ragazzi sono gentili ci dicono che ci invieranno delle ricette via mail ( chi l'ha viste) e compriamo ben 10 EURI di spezie, ancora intonse dentro una scansia della nostra cucina. Si perché quando si è in giro viene la voglia di prendere, di fare ma poi una volta a casa, per motivi di tempo e di difficoltà a reperire le materie prime, le ricette rimangono del tutto campate in aria.
Mangiamo qualcosa in un baracchino per strada, Raj, ci consiglia di provare un fagottino ripieno di nome Samosa. E’ squisito. L’involucro esterno è costituito da qualcosa somigliante alla nostra pasta sfoglia e l’interno è ripieno di verdure e patate lesse e spezie. Ne facciamo fuori un paio a testa anche se ancora dobbiamo andare a cena.
Quasi sazi ci facciamo portare al “On The Rock” un bel ristorante situato su una delle vie principali della città, è in centro ma il complesso, che ha anche una discoteca, è grande e ben curato ed è immerso nel verde, una vera e propria oasi nello smog di Jodhpur.
Anche la cena si rivela ottima. CONSIGLIABILE.
Oggi visiteremo il Forte della città e poi ci trasferiremo a Jaisalmer dopo diverse ore di auto.
Il Meherangarh fort apre per le visite verso le 10 quindi prima di salire verso la collina facciamo visita ad un handcraft market dove, dopo un’estenuante trattativa, compro un Sitar, il mandolino o chitarra, tipico della zona. Il venditore ci dice che l’oggetto è datato ed è in ottime condizioni per cui dopo vari tira e molla spunto un prezzo vicino a 20 euro: sarà un’affare? Mah sinceramente non lo so ma me ne ero innamorato e alla fine ho ceduto.
Bene è ora di andare e saliti sulla “nostra “ Ambassador ci dirigiamo verso il Meherangarh Fort o Majestic fort nome derivato proprio dalla sua maestosità.
La fortezza è situata su una rocca alta 150mt circa e dalla sua sommità si può godere di una spettacolare vista della città sottostante, la città blu.
Da qui si capisce perfettamente il perché di questa definizione, infatti la vista che si apre ai nostri occhi è quella di una sconfinata distesa di case azzurre, che secondo un detto popolare sono state dipinte con quel colore per tenere lontane le zanzare.
All’ingresso, dopo aver pagato un cospicuo ticket, ci forniscono come guida un auricolare per l’intera visita. Scoperta: c’è anche la lingua ITALIANO. Vabbè che di turisti e viaggiatori italiani ce ne sono parecchi ma neanche in Europa mi era capitata una attenzione simile.
Il forte è magnifico, perfettamente restaurato e mantenuto in modo ottimale, una rarità da queste parti.
Lo stesso è ancora gestito dal Maharaja di Jodhpur, prima di raggiungere il vero e proprio cuore del forte si superano alcune grandi porte, nella seconda porta sono ancora visibili i segni dei colpi di cannone di una delle tante battaglie per la conquista, mai avvenuta, della fortezza e di fianco alla terza porta invece ci sono le impronte di 15 mani che ricordano il sacrificio compiuto dalle vedove del Maharaja Man Singh.
Anche la visita all’interno del forte è gradevole, si attraversano innumerevoli palazzi nelle cui sale sono conservate le solite collezioni di gioielli, armature, dipinti, mobili, per ritrovarsi poi in cortili da cui si può osservare la straordinaria struttura architettonica del forte a guglie e merletti, accompagnati dall’auricolare che ci dà anche alcune nozioni di storia indiana.
Usciamo dal forte ed è ora che ci rimettiamo in strada, direzione Jaisalmer.
Jaisalmer
Lungo il tragitto, Raj, ormai, senza neanche chiederci dove, si ferma in uno dei soliti ristorantini dove gli unici stranieri siamo noi e, come al solito, pranzo pagato… “se pagate voi vi chiedono il triplo, lasciate stare, siete miei amici” insomma ennesimo pranzetto a scrocco.
Durante l’ultimo tratto di strada verso Jaisalmer incontriamo e superiamo diverse colonne di mezzi militari, qui siamo molto vicini al confine con il Pakistan e l’esercito indiano impiega migliaia di militari per pattugliare questa linea di confine, certo che se in qualche modo riuscissero a raggiungere un accordo i due governi sulla questione del Kashmir sarebbe un notevole passo avanti anche per le due economie visto che i governi tra loro non intrattengono nessun rapporto, più avanti nella regione dello Shekawati ci accorgeremo direttamente come la chiusura della frontiere tra i due stati stia deteriorando la vita di città e di villaggi che fino ai primi anni ’50 vivevano di commercio, soprattutto di stoffe, con il Pakistan.
Arriviamo nella citta d’oro al tramonto, effettivamente più che i colori dorati delle sue case e Haveli ci salta all’occhio il colore rosso infuocato che prendono queste abitazioni al tramonto.
Per la notte, dopo aver purtroppo dovuto scartare Nachana Haveli perché piena, ripieghiamo, per modo di dire, nel bellissimo Mandir Palace Hotel, dove ad oggi un’ex famiglia reale ne abita una parte, tra l’altro si trova anche in una posizione strategica: proprio sotto le mura del forte.
Per cena accontentiamo Raj, ci parla del ristorante di un suo amico e decidiamo di andarci, non è che il posto sia il massimo, ma abbiamo davanti ai nostri occhi il forte illuminato ( e rimarrà così solo fino le 22) e la cena è discreta.
Dopo cena ci facciamo una piccola passeggiata digestiva nella zona della città fuori dalle mura del forte e capiamo da subito che questa è molto bella e tranquilla, non c’è il caos di Jodhpur, tutti i negozi e bancarelle sono sistemate con ordine, in giro è abbastanza “pulito”, certo prendere con le molle e rapportarsi all’India, comunque al primo approccio ci sembra proprio un’affascinante città.
Dimenticavo, all’arrivo a Jaisalmer abbiamo avuto una bella sorpresa: Bobby, dell’agenzia Tour Passion, ci ha fatto recapitare il nostro zaino, ancora intatto!!! Abbiamo così finito di cercare saponi, dentifrici, spazzolini ecc. tra le bancarelle delle città: GRAZIE!
Dopo la solita e abbondantissima colazione presso il ristorante dell’Hotel, dove conosciamo una coppia di Lugano che starà in giro per l’India per cinque settimane, beati loro, siamo ia passeggio per la città d’oro.
Stavolta andiamo direttamente all’interno del forte. Anche questo come quello di Jodhpur è posto su una rocca alta 80 mt che domina la città ma a differenza dagli altri visti finora non è abbandonato o adibito a museo, dove si paga per entrare, ma è una città vera e propria più viva di qualsiasi altro posto visto finora dove, nei sui piccoli vicoli si celano case, alberghi, botteghe artigianali, bancarelle e luoghi di culto, insomma un perfetto concentrato della vita e della cultura Rajasthana.
In più da alcuni bastioni che cingono il perimetro della fortezza, se ne contano in tutto 99, si può godere del panorama della città d’oro e adesso, alla luce del sole, si intuisce facilmente il perché di tale appellativo, tutte le case o strutture della città sono costruite con della terra di color giallo dorato. Bellissima.
Nella nostra passeggiata visitiamo i templi giainisti, che sì sono belli ma non valgono quelli di Ranakpur e il palazzo imperiale, Rajmahal, che si affaccia proprio nella piazza principale del forte, dove un tempo venivano passate in rassegna le truppe e si organizzavano i fastosi ricevimenti in onore degli ospiti importanti.
Il palazzo non è che sia un granchè, ma dall’ultimo dei suoi sette piani si gode una bella vista della piazza sottostante.
Torniamo in hotel per preparare lo zaino in vista dell’escursione in cammello sul deserto, abbiamo deciso di passare la prossima notte a Khuri, un piccolo villaggio situato sulle prime propaggini del deserto del Thar.
La scelta era tra il villaggio di Khuri e quello di Sam, abbiamo scelto il primo perché secondo la bibbia, (LP), è leggermente meno inflazionato, turisticamente parlando, rispetto l’altra destinazione.
Partiamo con Raj in macchina intorno alle 13, il sole è a piombo e fa un caldo bestiale, fortuna che almeno non è umido e penso a come potrebbe essere il clima durante il periodo dei monsoni.
Ci allontaniamo da Jaisalmer per una stradina pressoché sterrata dove si iniziano ad incontrare le prime avvisaglie del deserto, in alcuni punti la strada è completamente ricoperta di sabbia.
Dopo un’ora di tragitto arriviamo finalmente a destinazione, ci sistemiamo in un posticino molto accogliente e spartano, praticamente all’interno di un recinto costruito in terra sono state ricavate alcune capanne di fango con il tetto di paglia e un paio che sembrano di “lusso”, infatti dispongono anche del bagno e di acqua corrente. Visto che siamo i primi arrivati, perché lasciarci sfuggire qualche comodità in più per la notte?
Dopo aver preso possesso della nostra stanza ed esserci cambiati di abito siamo già sopra il cammello per l’escursione nel deserto fino al tramonto.
Nel giro siamo accompagnati da due cammellieri ma presto, subito dopo la prima sosta per far abbeverare i cammelli, ne rimane uno solo, si perché l’altro torna indietro dicendo di aver perduto il portafogli e di voler tornare a cercarlo, sarà vero ...
Preciso subito che per me è la prima volta in sella ad un quadrupede, sì perché non ho mai cavalcato neanche un pony… e già dopo i primi metri capisco che, nonostante i cammelli siano sellati e le selle rivestite da coperte e gomma, per il mio fondo schiena sarà un supplizio… infatti io, che detto tra noi sono un po’ legno, striscio sempre sulla sella a causa della andatura dinoccolata dei cammelli.
Comunque andiamo avanti circondati da un territorio secco, arido, dove vivono solo alcuni arbusti e piante grasse, ma non è il deserto come me lo immaginavo, cioè quello fatto da dune di sabbia a perdita d’occhio.
Superiamo un paio di villaggi dai quali ci vengono incontro bambini vestiti di stracci che ci chiedono a gran voce “shampoo”, quindi un suggerimento per i posteri: piuttosto che penne e quaderni, che in India vengono forniti dal Governo, portate saponette o prendetele dagli alberghi dove soggiornate.
Dopo circa due ore di cammino avvistiamo le prime dune, non sono molto alte, saranno circa una ventina di metri, ci togliamo le scarpe e raggiungiamo la sommità di una da dove attenderemo il tramonto.
Certo siamo soli in questa duna, la pace intorno a noi è assoluta, ci siamo quasi, il paesaggio si colora di rosso e inizia la magia ….. ben presto rovinata dalle orde di persone che arrivano da Jaisalmer il tardo pomeriggio per scattar foto e poi tornare in città.
Sinceramente la mia aspettativa sull’escursione era maggiore, ripeto, pensavo di vedere molte più dune, in effetti ce ne sono alcune ma se si gira lo sguardo oltre si nota che il paesaggio è ancora abbastanza verde, per chi ha visto il Sahara o il deserto del Namib credo che questo paesaggio possa essere molto deludente.
Forse facendo un’escursione di più giorni e addentrandosi maggiormente credo si possa vedere qualcosa di più vicino alla concezione comune di deserto.
Un’annotazione per coloro che faranno questo tipo di escursione: ragazzi non lasciate in giro rifiuti perché qui nessuno li raccoglie, anzi date il buon esempio con la speranza di sensibilizzare i locali a fare altrettanto.
Torniamo al villaggio che è già buio, scendo dal cammello con le chiappe che mi fanno vedere le stelle, poi Annalisa mi dirà che ho delle vere e proprie piaghe sanguinanti. DOLORE!
Consumiamo la cena su dei tavoli posti in cerchio intorno ad un fuoco nel piazzale davanti le capanne mentre tre ragazze in abiti tradizionali danzano al ritmo dei Sitar e tamburi dei loro compagni.
L’atmosfera è molto piacevole, la musica è coinvolgente, sopra le nostre teste c’è un tappeto di stelle così lucente che a memoria non ricordo di aver visto, se non lo scorso anno sulle Ande, in poco tempo ci ritroviamo quasi tutti trascinati nei balli, Raj è con noi e sembra molto divertito dalla nostra interpretazione così a fine serata per concludere in bellezza ci offre del wisky, almeno così lui lo definisce e dice che è prodotto artigianalmente sul posto.
Sinceramente non è che sia un granchè ed ha una gradazione alcolica spaventosa quindi dopo due o tre bicchierini si va quasi KO. Sarà per questo che dormo come un sasso e non sento neanche molto freddo.
La mattina, subito dopo la solita e abbondante colazione facciamo un giro a piedi per Khuri ad osservare un po’ della vita locale e camminando ogni tanto vedo Annalisa che guardandomi sorride con Raj, chiedo spiegazioni e mi dice che sembro una papera, cammino a gambe larghe…, ma ragazzi non vi dico il dolore che proviene dal mio di dietro, tra l’altro ogni volta che mi siedo mi sembro quello dello sketch di Ficarra e Picone… STANCO?... No OGGI NO!!!! AHI AHI AHI … .
Mi prende giro,… fa bene… non ha nessun problema LEI …
Rientriamo a Jaisalmer di prima mattina, decidiamo di cambiare Hotel, vogliamo spendere qualche Rupia in meno… scegliamo Deoki Nivas, su consiglio di Raj, non è riportato sulla LP perché è aperto da poco e spuntiamo, dopo una lunga trattativa una gradevole stanza ad un costo di 15 euro.
Subito dopo siamo di nuovo per le strade di Jaisalmer dove ci mescoliamo insieme a molti altri turisti e locali con l’intento di visitare alcune delle Haveli più importanti per poi finire la giornata, senza una meta ben precisa, con la sola volontà di passeggiare tra le vie di questa incantevole città. Siamo accompagnati dagli odori dei chioschi che vendono cibarie varie, dai profumi di incenso ma anche dagli olezzi degli scarichi a cielo aperto o degli escrementi degli animali, vacche, asini, capre che girano liberamente per le viuzze strette della città, nonostante questo girare per Jaisalmer è veramente piacevole… sarà che ormai ci siamo abituati a questo miscuglio.
Visitiamo due Haveli, esternamente bellissime ma l’interno di una delle due lascia veramente molto a desiderare.
In seguito alla chiusura delle frontiere con il Pakistan il commercio è crollato e i mercanti hanno abbandonato le loro bellissime e ricche case per cercare fortuna altrove e nonostante siano una attrazione turistica sono state lasciate alla mercè di piccioni e pipistrelli, oltre che dei locali che non hanno il minimo rispetto per le opere d’arte … rifiuti in ogni angolo, parte delle decorazioni rotte o rubate, scritte o incisioni sui muri … un vero peccato.
Usciamo e non possiamo non notare uno striscione che pubblicizza l’uomo dai baffi più lunghi del mondo, tanto da entrare nel Guinness dei primati e visto che è proprio davanti a noi un signore vestito di tutto punto, con i suoi baffoni neri lunghi più di un metro e mezzo, non ce lo lasciamo scappare e lo immortaliamo in una simpatica foto.
Jaisalmer è famosa per l’argento e Raj non ha dovuto faticare tanto per convincere Annalisa ad andare nella casa/negozio di un suo amico gioielliere: ci ha fatto accomodare per terra, ci ha offerto un the, dopodichè ci ha mostrato oggetti e gioielli di ogni tipo, molti dei quali provenivano dalle famiglie di mercanti che, ridotti in povertà, sono state costrette a vendere i loro averi.
Alla fine siamo usciti con un bracciale, due anelli, un ditale per arricchire la nostra collezione e un tubo d’argento finemente intarsiato che i Mharaja usavano per “spedire” le lettere, gli attuali SMS, e abbiamo lasciato una pipa che a ripensarci bene sarebbe stato veramente un affare.
Prima di cena abbiamo del tempo e decidiamo di aspettare il tramonto a Bada Bagh, pochi Km fuori Jaisalmer, dove si trova una fertile oasi con una diga, ora quasi prosciugata, costruita molti anni fa.
Il complesso ha dei giardini e dei chatri e un piccolo tempio, non è proprio un granchè e non è tenuto in buono stato ma almeno abbiamo la fortuna di assistere ai preparativi di un matrimonio.
Ci sono molti invitati e la sposa, che è veramente carina, indossa un abito rosso, è accuratamente truccata e ornata da gioielli d’oro, si sottopone a dei rituali che osserviamo ma non riusciamo a capire bene, è comunque gentilissima e posa per noi per alcune foto.
Tra l’altro, ci si avvicina incuriosito il fotografo ufficiale del matrimonio e ci chiede informazioni sulla nostra nuova reflex e alla risposta che ci è costata circa 300 euro quasi sviene… lui infatti è orgogliosissimo della sua vecchissima Fuji che da noi è praticamente un pezzo di antiquariato.
Stavolta, per cena, ci affidiamo al consiglio della LP e andiamo al Trio Restaurant, sulla piazza vicino ad uno degli ingressi del forte, è particolarmente scenografico e molto curato ed anche il cibo è veramente ottimo… ormai è un’abitudine mangiare squisitamente.
Attenzione per chi ci vorrà andare, prenotate in anticipo perché molto spesso il ristorante è pieno.
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ultimo aggiornamento 20/10/2021