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19 marzo - 26 marzo 2004
I colori della Libertà
Fare un bilancio della nostra partecipazione alla carovana di pace in Kurdistan non è
facile, perché le grandissime emozioni che tutti noi abbiamo provato non lasciano ancora
spazio ad una analisi lucida e distaccata. Abbiamo trascorso una settimana veramente
indimenticabile insieme ad un popolo coraggioso e fiero a cui è negato il nome, a cui
sono negati i colori che compongono la loro bandiera, a cui è negata la lingua, a cui è
negato il diritto di esistere. Se i diritti della popolazione kurda sono la misura della
democrazia in Turchia, possiamo senza dubbio affermare che c'è ancora tanta strada da
percorrere. Il governo turco è uno strumento nelle mani dei militari, che hanno la
facoltà di presentare al governo "pareri" insindacabili sulle questioni di "sicurezza
dello stato". Sulla carta ha concesso alcuni diritti, nell'ottica della possibile entrata nella
UE, la realtà è ben diversa: nulla è davvero cambiato. Un terzo della
popolazione turca, i kurdi appunto, continuano ad essere violati nei loro diritti fondamentali.
Abbiamo incontrato molte associazioni kurde, durante la nostra breve permanenza ad Urfa (in
kurdo Reha), meta della nostra delegazione. I rappresentanti del partito democratico DEHAP ci
hanno illustrato la situazione sociale, culturale, economica della zona: la presenza di clan
feudali, che impongono sia il potere economico che religioso usando anche paramilitari al loro
servizio, frenano il progredire in senso democratico dell'intera popolazione. Questo sistema
chiuso ed arretrato è anche causa della pesantissima discriminazione nei confronti delle
donne, di moltissimi casi di violenza domestica e di altrettanti suicidi d'onore sempre impuniti.
Al contrario il Dehap ha candidato molte donne per le elezioni amministrative che si sono
tenute in tutta la Turchia il 28 marzo. Ad Urfa, città antichissima, crogiolo di tante
etnie e di altrettante religioni, ha vinto il partito filogovernativo conservatore; in alcuni
villaggi la presenza armata dei clan ha prodotto scontri fratricidi con 2 morti e svariati
feriti.
Un altro grosso problema è quello legato al GAP (Guney Anadolu Projesi) un sistema di
dighe volto ad incanalare e utilizzare le acque del Tigri e dei vari laghi e corsi d'acqua, di
cui è ricca la zona; non tanto per incrementare l'agricoltura locale e migliorare le
condizioni di vita della poverissima gente che popola città, villaggi e campagne, ma da
usare come merce di scambio con le nazioni vicine, Israele compreso. Per non parlare degli
ingenti danni ambientali ed umani dovuti alla riallocazione di interi villaggi ed alla
inondazione di siti archeologici unici al mondo come quello di Hazankeyf. Proprio per queste
ragioni la BM ritirò il proprio finanziamento nel 1984.
L'incontro successivo con l'IHD, l'organizzazione per i Diritti Umani, ci ha permesso di capire
meglio cosa succede nel paese di Utopia (nome che Dino Frisullo dava al Kurdistan durante la sua
detenzione nelle carceri turche): ora, a differenza di qualche anno fa, si può parlare la
lingua kurda, ma per questo si può ancora venire accusati di separatismo, come è
accaduto 11 anni fa a Leyla Zana. Abbiamo visitato la prima scuola privata kurda, nata tra mille
problemi e censure: quel piccolo edificio, con davanti l'unica scala antincendio della città
(per volere del ministero dell'istruzione) è un simbolo di speranza. Ma il problema più
pressante di violazioni dei diritti dei kurdi è legato all'amministrazione della
giustizia. Le cifre fornite dall'IHD, nel suo ultimo rapporto riguardante il Kurdistan (sud est
dell'Anatolia per i turchi) sono molto preoccupanti:
esecuzioni extragiudiziali 84
morti durante scontri armati 105 e 31 feriti
fermi di polizia 3014
torture 502
arresti 574
violazioni del diritto di proprietà 3096
indagini e sanzioni sulla libertà d'espressione 880.
Queste cifre dimostrano una feroce repressione, che fanno tornare col pensiero alle dittature
che caratterizzarono gli anni '70/'80 in America latina e che non rappresentano certo una
precondizione per l'entrata della Turchia in Europa. Si capisce altrettanto bene come mai tanti
kurdi arrivino in Italia per chiedere asilo, purtroppo, però, alla maggior parte di loro
questo diritto viene negato, con le atroci conseguenze che noi tutti conosciamo.
I parenti di detenuti politici (che sono attualmente 5000), riuniti nell'associazione TUHAD,
hanno sottolineato come l'isolamento carcerario (celle di tipo F), le torture, la detenzione in
luoghi lontanissimi dalle famiglie, le violenze nei confronti dei familiari in visita ai
detenuti fanno aumentare il numero dei suicidi col fuoco in carcere e gli scioperi della fame.
Le donne detenute subiscono, oltre a tutto ciò, ripetute violenze di natura sessuale, i
minori detenuti sono nelle stesse carceri degli adulti. Le persone accusate di reati politici
(in maggioranza kurdi) sono giudicate da tribunali speciali; dal 1992 possono usufruire
dell'avvocato d'ufficio, ma non possono conferire con il loro difensore prima del processo. Altro
gravissimo problema, affrontato insieme al sindacato dei medici, KESK, è quello sanitario:
non esiste sanità pubblica, né medico di famiglia, tutto è a pagamento,
dai farmaci agli interventi chirurgici. Anche l'istruzione non va meglio, come ci hanno detto i
sindacalisti degli insegnanti, per i kurdi è d'obbligo la scuola turca, soprattutto nelle
campagne c'è un altissimo tasso di abbandono scolastico dopo le prima classi elementari,
con alte percentuali tra le bimbe. Le classi, in Kurdistan, raggiungono perfino i 100 alunni.
Anche la scuola è a pagamento. Nonostante 80 anni di persecuzione ed annientamento, il
popolo kurdo non si è piegato: serhildan (letteralmente "su la testa") è
la risposta unanime di questi nostri amici, compagni, fratelli. A loro è negata anche la
ricerca storica della loro millenaria cultura, ciò nonostante abbiamo incontrato i
giovani del centro culturale Mesopotamia, MKM, che mantengono vive le tradizioni, le danze, le
musiche, le arti kurde. Proprio loro hanno preparato il Newroz. Anche l'Accademia della Storia
compie un importante lavoro di recupero e salvaguardia della cultura kurda ed attua una
fondamentale indagine storiografica, come pure RadioNet, una piccola radio locale, ascoltata dai
cittadini di Urfa e dintorni: propone notiziari, musica, poesie ed approfondimenti, sempre
facendo i conti con l'opprimente censura turca.
L'ultimo incontro è stato con il sindaco e gli amministratori comunali di Virenshir,
cittadina agricola, con 100.000 abitanti, raddoppiati per la presenza di moltissimi profughi,
che sono stati costretti ad abbandonare i loro villaggi perché distrutti dai militari. Il
Sindaco, rieletto il 28 di marzo, appartiene al Dehap, attua il bilancio partecipativo, è
stato amico di Dino Frisullo ed è anche venuto in Italia per partecipare alla marcia
della pace Perugia-Assisi. Tutti insieme siamo andati a visitare il centro culturale nella
vicinanza del Municipio, con sale per conferenze, per proiezioni cinematografiche, con
addirittura un atelier per la produzione dei famosissimi kilim.
Questo è il Kurdistan, un paese il cui nome non esiste in nessun atlante geografico, un
paese dove è nata anche la nostra civiltà 5000 anni fa, la Mesopotamia. Ma è
anche il paese che non c'è a causa del silenzio complice di noi europei ed italiani, che
preferiamo non prendere posizione o ignorare il fatto che siamo al quarto posto nella vendita di
armi alla Turchia: queste pistole, mitra, carri armati verranno usati principalmente contro i
kurdi, poi, quando verranno in Italia, come richiedenti asilo, daremo loro il diniego adducendo
la scusa assurda che la Turchia rispetta i diritti umani, così li manderemo a morire
nelle famigerate carceri turche. Noi abbiamo visto come si vive in Kurdistan, abbiamo incontrato
la società civile, siamo stati anche noi oggetto di "particolare interesse" da parte dei
militari turchi che, anche se non ostentatamente, non ci hanno abbandonato un solo attimo,
abbiamo intessuto amicizie con ragazze e ragazzi che, solo per averci accompagnato e fatto da
interpreti, hanno passato notti in gendarmeria. Abbiamo promesso ai nostri amici kurdi di
raccontare ciò che abbiamo visto, per cercare di far sentire la loro voce, voce che
chiede libertà, democrazia giustizia.
Ma la giornata più intensa, più ricca di emozioni è senz'altro stata
domenica 21 marzo, Newroz, il capodanno kurdo. La nostra presenza ad Urfa, come osservatori
internazionali, ha contribuito allo svolgimento pacifico di questa meravigliosa festa,
nonostante, al di fuori della spianata dove si svolgevano comizi, canti e balli, ci fosse un
ingente numero di militari schierati in assetto di antisommossa. Il Prefetto aveva concesso
l'autorizzazione addirittura 24 ore prima ed aveva disposto che i militari non entrassero al
Newroz, almeno non in uniforme, perché con abiti civili ne abbiamo visti molti. Comunque
la festa è stata bellissima, da ricordare per sempre. Erano presenti anche il fratello e
la sorella del presidente Ocalan. Un trionfo dei colori proibiti per i rimanenti 364 giorni
dell'anno hanno letteralmente riempito la spianata: migliaia e migliaia di sciarpe verdi,
gialle e rosse, i vestiti delle bellissime donne kurde scintillanti dei tre colori hanno fatto
da cornice gioiosa alle danze, ai canti, ai discorsi dei vari rappresentanti dei partiti, delle
associazioni che si sono avvicendati, anche noi siamo saliti sul palco e la nostra capo
delegazione, Angela Bellei, ha sottolineato come la nostra presenza fosse segno di solidarietà
con tutti i kurdi e le kurde che si battono per il rispetto dei loro diritti, per la pace, per
la giustizia e la democrazia. Un momento particolarmente intenso è stato, per tutti noi,
il ricordo di Dino Frisullo, che tanto ha fatto per i suoi compagni kurdi. Poi la festa è
continuata, si è acceso il fuoco, come fece Kawa, secoli or sono, per annunciare ai kurdi
la morte del tiranno e la ritrovata libertà.
Proprio la libertà noi chiediamo insieme ai 40 milioni di kurdi, che non hanno una patria,
che sono costretti a vivere in Turchia, in Iran ,in Iraq, in Siria, in Europa chiediamo
giustizia insieme ai 15000 prigionieri politici, agli abitanti dei 4000 villaggi distrutti, ai 3
milioni di sfollati, chiediamo giustizia per Apo, la cui immagine ha riempito il Newroz di tutte
le città kurde, che ad Imrali vive in condizioni inumane e degradanti, chiediamo
giustizia e libertà per Leyla Zana e per tutte le kurde e i kurdi prigionieri di
coscienza. Ci siamo sempre sentiti vicini ai tanti amici kurdi che sono con noi in Italia, ma
ora, dopo questa indimenticabile settimana nel paese che non c'è, vorremmo essere per
loro heval. Il nostro interesse per il Kurdistan è nato dall'amicizia con le tante Kurde
e Kurdi richiedenti asilo, dalle loro storie dolorose, fatte di repressione, di torture, di
detenzioni in condizioni disumane, di mancanza di libertà d'espressione, di movimento.
Per noi sono figli, fratelli, amici insostituibili, sono anche la nostra coscienza: la nostra
vita è cambiata, in meglio, grazie a loro. Per tutte queste ragioni un aspetto
importante della nostra delegazione è stato anche l'incontro con le loro famiglie.
Nonostante la difficoltà dovuta alla lingua queste madri, questi padri, questi fratelli
hanno capito che i loro cari hanno, qui da noi, l'affetto e l'amore che meritano, non sono soli
e questa certezza li ha resi meno tristi. Senza dubbio un incontro particolarmente toccante è stato
quando siamo stati invitati a casa dei familiari di Muslum B. L'amore per questo figlio lontano
è sempre presente negli occhi grandi e tristi del padre, in quelli dolci e velati dal
pianto della madre, negli abbracci e nelle carezze dei fratelli e soprattutto delle sorelle.
Oltre ad aver cercato di capire la realtà del Kurdistan, ad aver condiviso, anche se per
breve tempo, le speranze e le lotte di questi nostri fratelli e compagni, siamo consapevoli del
fatto di aver fatto da ponte tra figli e genitori, divisi fisicamente, forse per sempre, ma
uniti nel cuore e nello spirito.
Nelly!
Foto e riflessioni sul Newroz 2005
Un arcobaleno a Beytussebap di Nelly Bocchi
La mia storia di Muslum
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ultimo aggiornamento 19/10/2021